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L’indagine evidenzia un dato incoraggiante: negli ultimi anni, i progressi in campo diagnostico-terapeutico hanno portato a una significativa diminuzione del rischio di morte 

“Raro” è un aggettivo qualificativo che, secondo il vocabolario Treccani, può essere riferito a “cose, persone, o animali che si trovano o si incontrano poco frequentemente, in piccolo numero e con difficoltà”. Già dalla definizione, quindi, appare chiaro come il limite per lo studio delle malattie rare sia proprio la loro condizione di rarità: i dati sull’incidenza di queste patologie sono ancora lacunosi e gli studi epidemiologici basati sull’intera popolazione sono scarsi, se non addirittura assenti. In questo panorama alquanto desolante, una recente indagine italiana, pubblicata sull’Orphanet Journal of Rare Diseases, risulta essere la prima in grado di fornire stime di sopravvivenza dei pazienti affetti da malattie rare residenti in Toscana, partendo dai registri di popolazione.

Solitamente, nell’ambito dello studio delle patologie rare vengono spesso utilizzati i “Registri di malattia”: archivi informatizzati che contengono i dati anagrafici, genetici e clinici dei pazienti. Sono strumenti chiave per la comprensione della storia naturale delle singole patologie, per il progresso della ricerca scientifica e per il miglioramento della gestione e del trattamento delle persone affette da queste condizioni. Tuttavia, i Registri di malattia non sono in grado di fornire dati epidemiologici relativi alla sopravvivenza dei pazienti: per ottenere queste informazioni è necessario prendere in esame anche i Registri di popolazione, che contengono i dati relativi alla salute di tutti i residenti di un determinato territorio (può essere una singola città o un'intera regione, una provincia o il territorio di una ASL).

Questo studio di coorte retrospettivo ha preso in esame i casi di persone affette da malattie rare residenti in Toscana tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2018. I dati dei pazienti, estratti dal Registro delle Malattie Rare della Toscana, sono stati collegati con le informazioni relative alle banche dati sanitarie regionali e a quelle dell’Ufficio Anagrafe, da cui sono emersi i dati sulla mortalità, sugli spostamenti di residenza e sui ricoveri ospedalieri. 

L’obiettivo dello studio era di indagare i tassi di sopravvivenza dei pazienti con malattia rara a uno, cinque e dieci anni di distanza dalla diagnosi. I dati così ottenuti sono stati filtrati per sesso, classe di età, gruppo nosologico e sottogruppo patologico. Secondo il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del gennaio 2017, infatti, l’attuale elenco delle patologie rare identificate da uno specifico codice a sei cifre, per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria, annovera 804 malattie, suddivise in 16 gruppi nosologici e 17 sottogruppi.

Con questa indagine, il gruppo di ricercatori italiani capitanato dalla dottoressa Francesca Gorini, dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, ha ottenuto risultati estremamente interessanti. I tassi di sopravvivenza calcolati a uno, cinque e dieci anni dalla diagnosi risultano essere, rispettivamente, del 97,3%, 88,8% e 80,8%. Le malattie respiratorie e quelle del sistema nervoso (periferico e centrale) sono i disturbi caratterizzati dalla sopravvivenza più bassa a cinque e dieci anni dalla diagnosi. Nonostante una prevalenza lievemente maggiore di malattie rare tra le persone di sesso femminile (54,0% del totale), sono i maschi a presentare un rischio di morte significativamente più alto. L'età media dei pazienti alla diagnosi è di 44,3 anni. Per quanto riguarda la distribuzione delle patologie in base all’età, 5.026 (21,2%) sono pazienti pediatrici (minori di 18 anni), 12.609 (53,3%) hanno un'età compresa tra 18 e 64 anni e 6,036 (25,5%) hanno più di 65 anni. Come prevedibile, un'età più avanzata alla diagnosi è significativamente associata a un aumentato rischio di mortalità.

Il risultato più interessante, tuttavia, è il fatto che i casi di malattie rare diagnosticati nel periodo 2010-2018 hanno rivelato un rischio di morte significativamente inferiore rispetto a quelli diagnosticati nel periodo 2000-2009, in particolar modo nell’ambito dei disturbi del sistema immunitario e delle patologie del sistema circolatorio, dell’apparato muscolo-scheletrico e del tessuto connettivo. Questo significa che, nel corso degli anni, grazie ai progressi della scienza e della genetica, il miglioramento delle procedure diagnostiche e l’aumento delle opzioni terapeutiche hanno portato a una generale diminuzione del rischio di morte per i pazienti affetti da malattie rare.

Ovviamente, i risultati di questo studio sono riferibili solo alla regione Toscana: per poter generalizzare i dati ricavati e fornire informazioni ancor più significative a clinici, ricercatori e decisori politici, sarebbe necessario, perciò, ampliare il panorama con indagini epidemiologiche basate su popolazioni più estese. Solo così si può pensare di migliorare la qualità della vita di milioni di persone affette da malattie rare. Infatti, nonostante quanto lasci presupporre l’aggettivo “raro”, che indica l’effettiva scarsa incidenza di ciascuna di queste patologie presa singolarmente, nel complesso i malati rari sono moltissimi. 

Una malattia si definisce rara quando la sua prevalenza, intesa come il numero di casi presenti su una data popolazione, non supera una certa soglia stabilita. In UE la soglia è fissata allo 0,05 per cento della popolazione, ossia 5 casi su 10.000 persone. Negli Stati Uniti, invece, con il termine malattia rara (rare disease) si intende qualsiasi condizione che colpisca meno di 200.000 persone: il che corrisponde a una prevalenza di circa un caso su 1.630 persone. Altre giurisdizioni nazionali fissano soglie di prevalenza diverse: dai 5 casi ogni 100.000 abitanti per la Corea ai 76 casi ogni 100.000 persone per la Cina. Nonostante la mancanza di una definizione univoca di malattia rara a livello internazionale, si stima che, nel mondo, le persone affette siano più di 470 milioni, di cui 46,5 milioni in Europa e 20,5 milioni negli Stati Uniti. Stiamo dunque parlando di un altissimo numero di pazienti di cui, ad oggi, mancano ancora dati epidemiologici attendibili e aggiornati, fondamentali per il progresso della ricerca scientifica e per il miglioramento della gestione clinica di queste patologie.

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