Giuseppina Annicchiarico

La Regione è sempre più vicina ad una rete efficiente “Hub & Spoke” grazie al DM 71 e al PNRR. Intervista a Giuseppina Annicchiarico, responsabile Coordinamento Regionale Malattie Rare

La Puglia si sta organizzando per assistere sempre meglio i malati rari. È una regione che si estende in lunghezza, dove sono necessari lunghi viaggi per raggiungere i principali ospedali. È pertanto un territorio dove i Centri di riferimento per le malattie rare acquisiscono ancora più valore, ed è su questi che si sta puntando per rafforzare la presa in carico del paziente raro nella comunità e a domicilio. Ne parliamo con la dottoressa Giuseppina Annicchiarico, medico e responsabile del Coordinamento Malattie Rare della Puglia. 

Dottoressa Annicchiarico, qual è il ruolo attuale dei centri territoriali per le malattie rare e come potrebbe essere potenziato?

Il Centro di riferimento regionale produce un piano terapeutico il cui valore sta nella capacità del territorio di tradurlo in assistenza reale. La Puglia è stata una delle prima regioni a deliberare in merito. Nel 2017, con propria Delibera di Giunta, la Regione Puglia ha ideato e attivato i Centri Territoriali per le Malattie Rare (CTMR), uno per ogni ASL, guidato da un medico esperto dei bisogni trasversali dei pazienti con malattie rare (bambini e adulti) e competente nelle organizzazioni a rete per queste patologie, a livello nazionale e regionale. I CTMR riescono a catalizzare le cure nei territori, facendo network tra i Distretti Socio Sanitari che, insieme al pediatra e al medico di famiglia, hanno un ruolo importante nell’organizzazione dell’assistenza domiciliare.

Come hanno lavorato in questi anni i CTMR? 

L’innovazione intrinseca determinata da questo nuovo modello organizzativo, insieme ai dati provenienti dal registro regionale malattie rare (SIMaRRP), ha consentito al Coordinamento Regionale Malattie Rare di interloquire con le ASL e censire, in base al principio della medicina d’iniziativa, i bisogni specifici e assolutamente differenti tra loro di questi pazienti. Oggi sappiamo che sono circa 27.000 i pugliesi affetti da queste patologie, che sono colpiti da circa 2.000 entità nosologiche differenti, e che un migliaio di loro sono complessi e hanno necessità di Assistenza Domiciliare Integrata (ADI); di questi, 200 sono bambini e buona parte hanno necessità di cure palliative pediatriche. Il modello organizzativo implementato ha consentito anche, sulla base della consapevolezza del bisogno e della necessità di qualità della cura, di avviare un’organizzazione equa della risposta alle famiglie.

Oltre ai Centri Territoriali, in Puglia sono nati anche i Nuclei di Assistenza Territoriale, in cosa consistono? 

A settembre 2020, con un’altra Delibera, la Giunta Regionale ha puntato alla qualità della cura e sancito la nascita di Nuclei di Assistenza Territoriale (NAT). Si tratta di un gruppo di professionisti (medico, pediatra, fisiatra, infermiere, OSS, etc.) di rinforzo ai CTMR, che dovrà avere specifica formazione da parte dei Centri di riferimento dei malati rari e portare la qualità della cura nei Distretti Socio Sanitari (DSS), con la formazione a cascata dei professionisti della salute operanti a domicilio. Il DSS può non avere un esperto della specifica malattia rara, ecco perché è importante che il CTMR, col proprio NAT, guidi il distretto sulla specificità della malattia, personalizzando le cure del malato. I NAT, a causa della pandemia e della particolare carenza di organico, non sono ancora partiti, ma ci è venuto in aiuto il Decreto Ministeriale 71 che declina l’organizzazione della sanità territoriale in Hub e Spoke. Il CTMR, col proprio NAT, è esattamente l’Hub di cure territoriali per i malati rari. Almeno uno per ogni ASL diventerebbe garanzia di cura di qualità per chi soffre di queste patologie. La Puglia, con Delibera di Giunta dello scorso febbraio, dedicata al “Potenziamento e Riorganizzazione della Rete di Assistenza Territoriale”, ha fatto specifico riferimento ai malati rari e si appresta ad implementare il modello organizzativo che ho appena descritto.

Oltre ai Centri Territoriali, la Puglia si è distinta anche per essere una delle regioni più attive nell’implementazione della telemedicina. Che ruolo può svolgere l’assistenza da remoto per i malati rari?

Se c’è un ambito in cui la telemedicina è importante è proprio quello delle malattie rare: nel 2015 era stato firmato un Accordo Stato-Regioni che declinava le responsabilità e i ruoli di ciascun attore della cura, dal Centro di riferimento al medico di prossimità. Ma l’Accordo non è mai diventato operativo. Da questo punto di vista, il COVID è stato propulsore di innovazione e oggi sappiamo che si può curare a distanza, ma occorre creare circuiti di comunicazione ed infrastrutture sicure, occorre fare sistema piuttosto che lasciare l’attivazione di programmi informatici all’autonomia dei singoli attori, correndo il rischio che questi non comunichino tra loro. Regione Puglia ha affidato all’Agenzia Regionale per la Salute ed il Sociale (AReSS) lo studio e la messa a punto della teleassistenza, anche quella per i malati rari. Nonostante il fermo COVID, il PNRR apre in questo campo scenari di grande opportunità. La telemedicina è sostanziale per mettere in rete tutti gli attori dell’assistenza del paziente con malattia rara, lontani tra loro anche migliaia di Km: l’ospedale di riferimento con l’Hub territoriale, fino al Distretto Socio-Sanitario, al pediatra, al medico di famiglia e al domicilio. Le famiglie dei malati rari sono già abituate a fare manovre che fanno di solito gli infermieri, ma ci chiedono supporto. La telemedicina, in questo senso, potrebbe essere utile per supportare caregiver e anche medici, infermieri e tutti i professionisti che assistono a domicilio.

Ritiene che l’Assistenza Domiciliare Integrata di oggi sia all’altezza delle esigenze dei malati rari?

L’attuale ADI è stata normata e allestita per il malato cronico, non è strutturata per il malato raro. L’ADI va customizzata sul malato raro per le specifiche e diverse necessità del singolo paziente. L’organizzazione si deve evolvere sostanziandosi sulla crescita delle competenze dei professionisti che operano nei territori, attraverso programmi di formazione continua incentrati sulla medicina di iniziativa e mettendo in relazione il Centro di riferimento del malato con i professionisti della cura domiciliare. Occorre ora investire risorse negli ospedali di expertise, rinforzare giovani medici e professionalità sanitarie ed investire anche nell’assistenza domiciliare. Ma non basta costruire le Case di Comunità. Occorre dare alle Regioni gli strumenti per riempirle di personale (siamo sotto organico da tempo) che sia anche competente. Per migliorare l’ADI per i malati rari credo sia importante implementare in ogni ASL, come indicato dal DM 71, un Hub di assistenza territoriale per le malattie rare collegato funzionalmente al Coordinamento Malattie Rare della rispettiva Regione; bisognerebbe inoltre aumentare il numero dei professionisti e delle risorse umane (soprattutto infermieri, logopedisti, disfagisti, fisioterapisti anche respiratori, OSS, etc.) dedicati alla cura dei malati rari nei territori, anche a garanzia dell’interdisciplinarietà della cura; e formarli, insiemi ai pediatri e ai medici di famiglia.

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