Davide Gatti“Michel era un grande musicista e un grande essere umano perché aveva l’abilità di sentire e dare agli altri ciò che sentiva, e lo dava attraverso la sua musica.” Con queste parole Wayne Shorter definisce Michel Petrucciani, “l’uomo di vetro”, un pianista jazz non più alto di un metro, dotato di uno straordinario talento musicale e affetto da osteogenesi imperfetta, una malattia che si caratterizza per il notevole aumento della fragilità dello scheletro e per la maggior incidenza di fratture ossee di svariata gravità. “Sono stati identificati diversi tipi di malattia” - spiega il prof. Davide Gatti, dell’Unità di Reumatologia dell’Università di Verona - “alcuni dei quali si presentano in forma lieve o moderata e permettono di vivere una vita normale, pur con un maggior rischio di incorrere in episodi di tipo fratturativo, ma altri, come l’osteogenesi imperfetta di tipo 2, possono avere conseguenze letali.”

Le fratture sono più frequenti nel periodo dell’accrescimento, fino alla pubertà, e questo ha indotto a riesaminare molti soggetti, inizialmente considerati a rischio perché troppo vivaci e che, solo successivamente, sono stati associati alla malattia, a dimostrazione di come essa sia di gran lunga più diffusa di quanto ritenuto. Le stime di prevalenza si aggirano intorno a 1 paziente affetto ogni 10.000 nati ma il dato potrebbe essere sottostimato dal momento che le forme lievi spesso non vengono neppure diagnosticate. “I segni clinici principali variano a seconda dell’entità della malattia e, oltre alla fragilità ossea comprendono deformità e colorazione bluastra delle sclere” - continua Gatti, che spiega come il deficit genetico che sta alla base della malattia determini un calo di produzione del collagene, elemento costitutivo non solo delle ossa ma anche delle sclere che diventano più sottili e assumono un aspetto azzurrognolo. Infatti, l’origine genetica dell’osteogenesi imperfetta è stata confermata ed è correlata a mutazioni nei geni COL1A1 e COL1A2 che codificano per le catene alfa-1 e alfa-2 del collagene tipo I, anche se sono state individuate forme autosomiche recessive dovute a mutazioni dei geni LEPRE1, CRTAP e PPIB. “L’Italia è sempre stata capofila della ricerca su questa malattia” - prosegue Gatti - “Grazie agli sforzi del prof. Silvano Adami, ordinario di Reumatologia dell’Università di Verona, siamo giunti alla pubblicazione del primo lavoro sul neridronato che ha dimostrato una forte efficacia sia nei bambini che negli adulti. In collaborazione con l’Associazione Italiana Pazienti Osteogenesi Imperfetta (As.It.O.I) il prof. Adami è riuscito a farsi dare questa molecola gratuitamente dalla casa farmaceutica e ne ha dimostrato l’efficacia in uno studio spontaneo promosso dalla stessa associazione di pazienti. Ad oggi, in Italia, il neridronato è l’unica terapia registrata per la cura dell’osteogenesi imperfetta.”

Il neridronato è un bifosfonato e agisce come inibitore del riassorbimento osseo, riducendo la tendenza dell’osso a rinnovarsi e facendo si che aumenti il grado di mineralizzazione. “L’uso del neridronato rientra nelle terapie di miglioramento del tessuto osseo” - precisa Gatti - “ed è  sufficiente a ridurre il rischio di fratture e migliorar e la qualità di vita dei pazienti, ma non risolve definitivamente un problema al quale solo la terapia genetica potrebbe porre soluzione. Ciononostante, sono molti pazienti in terapia con neridronato che riportano anche miglioramenti dei dolori ossei, un evento difficile da documentare ma per cui esiste dimostrazione di come un turnover osseo elevato si traduca in un più alto grado dolore.”

Gatti continua raccontando di come il Ministero della Salute avesse richiesto di realizzare ulteriori studi per confermare i dati positivi raccolti e, in conseguenza a queste raccomandazioni, i ricercatori sono andati avanti col lavoro espandendo la casistica di pazienti giungendo a raccogliere i dati sugli adulti a 3 anni dall’inizio del trattamento, confermando la significatività sulla riduzione delle fratture. Tuttavia, i risultati più eclatanti sono giunti dagli studi sui bambini, nei quali il confronto tra l’incidenza di fratture nei 3 anni precedenti al trattamento e nei 3 successivi al trattamento ha evidenziato una riduzione degli eventi fratturativi di oltre il 50%, confermando l’estrema validità del farmaco. “Quando si parla di fragilità ossea i pazienti vedono le fratture che si verificano non quelle risparmiate” - continua Gatti che è anche presidente del Comitato Scientifico di As.It.O.I. - “per cui va elogiata la fiducia che hanno riposto in noi nel proseguire una terapia nei confronti della quale c’è grande aspettativa e che sta dando ottimi riscontri.”

A ulteriore conferma del vantaggio offerto dal neridronato c’è uno studio appena pubblicato sulla rivista Calcified Tissue International nel quale l’equipe del prof. Gatti continua a valutare l’efficacia a lungo termine e la sicurezza delle infusioni intravenose di neridronato nel trattamento di pazienti affetti da osteogenesi imperfetta. In quest’ultimo lavoro sono stati valutati 114 pazienti ai quali è stato somministrato il neridronato per infusione intravenosa al dosaggio di 2 mg/kg, fino ad un massimo di 100 mg a intervalli di 3 mesi per 3 anni. I pazienti sono stati sottoposti ad un attento follow-up durante il quale è stata valutata semestralmente la densità ossea della regione vertebrale lombare, dell'anca e del radio prossimale e distale e, trimestralmente, la concentrazione ematica di calcio, fosforo, albumina e della fosfatasi alcalina nonché il rapporto calcio/creatina nelle urine. Dai risultati è emerso chiaramente che la densità ossea media della regione lombare, dell'anca e del radio distale sono aumentate significativamente rispetto ai valori di base. Inoltre, i livelli sierici dei marcatori di turnover osseo sono significativamente diminuiti rispetto alla valutazione basale a qualsiasi intervallo di osservazione e, anche se nel corso dello studio non è stato possibile evidenziare alcun effetto statisticamente significativo sul rischio di frattura, il trattamento a lungo termine con neridronato ha dato conferma degli effetti positivi sia sulla densità ossea che sui marcatori di turnover dell'osso, mantenendo un ottimo  profilo di sicurezza.

“E’ molto più semplice osservare una diminuzione del rischio di frattura nei bambini” - osserva Gatti - “ perché molti di loro si fratturano almeno un osso già al momento del parto o nei primi anni di vita. Un tempo si  pensava, addirittura, che molti di essi fossero vittime di maltrattamenti a causa dell’aumento del numero di fratture. Nelle forme adulte, invece, il rischio inizia ad aumentare intorno ai 45-50 anni e, spesso, può essere confuso con l’insorgenza di osteoporosi. Per tale ragione, si esegue un’anamnesi attenta, ricercando eventuali casi di familiarità nonostante esista un 15% di forme più rare recessive che fanno ipotizzare la presenza di portatori sani. La ricerca genetica, tuttavia, è progredita bene. I tempi di diagnosi sono più rapidi e si identificano molte più forme di malattia, tanto che, oggi, siamo a arrivati a circa 12 forme di osteogenesi imperfetta individuabili.”

Il prossimo passo è la costituzione di un registro di pazienti a livello nazionale che offra una stima precisa del numero dei malati e dell’incidenza della malattia per poter proseguire la ricerca con crescente entusiasmo e dare valore ad una patologia ancora troppo sottostimata.

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