Il prof. Umberto Vespasiani Gentilucci: “Il farmaco ha dimostrato la sua efficacia anche nel contrastare sintomi della malattia particolarmente frequenti, quali il prurito e la fatigue”
Roma – Negli ultimi anni, la gestione della colangite biliare primitiva (PBC) ha visto importanti sviluppi, grazie alla comprensione più profonda dei meccanismi molecolari che sono alla base di questa rara malattia epatica autoimmune. La progressione delle conoscenze è stata particolarmente rilevante per quel gruppo di pazienti, oscillante tra il 25 e il 40 per cento del totale (a seconda dei diversi studi), che non risponde adeguatamente alla terapia di prima linea con acido ursodesossicolico (UDCA) e che presenta, quindi, un rischio concreto di progressione di malattia. Per questi pazienti – come spiega Umberto Vespasiani Gentilucci, dell'Unità di Medicina Clinica ed Epatologia della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma e professore associato di Medicina Interna presso lo stesso ateneo – sono in arrivo delle novità.
Professore, l'approccio alla terapia per la PBC era inizialmente incentrato sugli agonisti del recettore FXR. Oggi, invece, si sta puntando sugli agonisti del recettore PPAR...
Il primo bersaglio molecolare identificato come target terapeutico innovativo è stato il recettore FXR (Farnesoid X Receptor), coinvolto, tra le varie cose, nella regolazione del metabolismo degli acidi biliari. L’attivazione di FXR ha dimostrato di modulare positivamente il flusso biliare, ridurre l’infiammazione e rallentare la progressione fibrotica della PBC. Su queste basi è stato sviluppato e approvato per l’utilizzo clinico l’acido obeticolico (OCA), che ha mostrato risultati promettenti in termini di miglioramento dei marcatori biochimici di malattia, in particolare la fosfatasi alcalina. Tuttavia, nonostante l’entusiasmo iniziale, il percorso dell’OCA ha subìto una battuta d’arresto significativa: lo studio clinico disegnato per dimostrare la capacità del farmaco di ridurre l’incidenza di eventi clinici correlati alla PBC non ha raggiunto gli obiettivi prefissati. Questo trial è stato oggetto di numerose critiche per la presenza di potenziali bias metodologici e interpretativi, rendendolo molto controverso. L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha comunque deciso di raccomandare la revoca dell’autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco. Questo ha lasciato improvvisamente molti pazienti senza un’opzione terapeutica di seconda linea, rendendo l’interesse verso nuove strategie terapeutiche ancora più urgente e giustificato. Fortunatamente, negli ultimi anni, è stata rivolta una crescente attenzione nei confronti di altri bersagli terapeutici, tra cui i recettori PPAR (Peroxisome Proliferator-Activated Receptor). Questi recettori regolano l’espressione di numerosi geni coinvolti nel metabolismo degli acidi biliari e dei lipidi, nell’infiammazione e nella fibrosi. L’attivazione dei PPAR – in particolare PPAR-alfa e PPAR-delta – aiuta a modulare il flusso biliare, contrastare l’infiammazione e, in ultimo prevenire, lo sviluppo e la progressione della fibrosi epatica. L’approccio terapeutico alla PBC basato sugli agonisti dei PPAR si fonda proprio su questi effetti benefici, combinati con un buon profilo di tollerabilità e sicurezza di questi farmaci.
Il primo agonista di PPAR approvato in Europa è elafibranor: quali sono i principali risultati emersi dagli studi clinici sul farmaco?
Elafibranor è un agonista duale dei PPAR alfa e delta che ha mostrato risultati promettenti nel trattamento della PBC. Negli studi clinici di Fase II e III, il farmaco è stato testato in pazienti che non avevano ottenuto una risposta adeguata all’UDCA. I risultati principali hanno mostrato un miglioramento significativo dei marcatori biochimici della malattia, in particolare della fosfatasi alcalina (ALP) e di tutti gli enzimi epatici. Dati più recenti dimostrano che questo effetto positivo si mantiene e si consolida nel medio/lungo termine. Uno degli aspetti più incoraggianti è che il farmaco ha evidenziato un chiaro trend positivo nella direzione di poter contrastare anche alcuni sintomi particolarmente frequenti della malattia, quali il prurito e la fatigue (spossatezza fisica e mentale). Gli effetti collaterali più comuni sono risultati lievi e ascrivibili, soprattutto, a disturbi gastrointestinali. L’approvazione europea di elafibranor ha rappresentato dunque la prima tappa essenziale per arginare il vuoto lasciato dal ritiro dal mercato dell’acido obeticolico.
Quali sono le aspettative in merito all’impiego di questo nuovo approccio terapeutico nella pratica clinica di routine?
L’attesa per la prossima disponibilità di elafibranor nel trattamento della colangite biliare primitiva è accompagnata da un'aspettativa concreta di poter disporre di una nuova opzione terapeutica efficace, capace di contrastare la progressione della malattia e, potenzialmente, anche alcuni dei sintomi ad essa associati, soprattutto nei pazienti più difficili da trattare e non rispondenti alla terapia con UDCA. L’auspicio è che i benefici osservati sul piano biochimico possano tradursi nel tempo non solo in una stabilizzazione del quadro clinico, ma anche in una possibile regressione della fibrosi epatica, in particolare nei pazienti con uno stadio più avanzato di malattia. Inoltre, il pleiotropismo d’azione legato all’attivazione dei recettori PPAR-alfa e PPAR-delta – con effetti favorevoli, ad esempio, anche sul profilo lipidico – lascia ipotizzare che, con dati a lungo termine, si possano evidenziare impatti positivi anche sul rischio cardiometabolico complessivo dei pazienti trattati. Questo è molto importante perché la PBC si sviluppa sempre più frequentemente su un background di disturbi metabolici (come sovrappeso o obesità, diabete mellito, dislipidemia, etc.) che stanno diventando epidemici nel mondo occidentale. Per giungere a queste evidenze, tuttavia, sarà necessario ottenere dati su ampie coorti di pazienti e sarà pertanto fondamentale il contributo degli studi real-world.
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