Immagine di globuli rossi del sangueNumerosi gli studi in atto, e i primi risultati fanno ben sperare. Ma servirà del tempo per mettere a punto una strategia sicura ed efficace

Oggi, la terapia genica si può paragonare al motore elettrico. L’esempio appare chiarificatore quando si pensa all’inquinamento atmosferico, una problematica globale affrontabile, ad esempio, ricorrendo all’utilizzo di auto elettriche per ridurre le emissioni di CO2. Il mercato automobilistico non è ancora pronto a un cambio di prospettiva radicale, ma è inevitabile che il futuro non sia più il combustibile fossile. L’ambito delle malattie rare offre innumerevoli piani di confronto e molti settori da studiare in profondità, sia per i pazienti che per i medici che devono curarli. Ma se per una volta il fulcro della questione non fosse una malattia rara bensì una nuova cura? La terapia genica, infatti, potrebbe fornire l’opportunità di curare, in un prossimo futuro, uno sconfinato insieme di malattie, rare e meno rare.

In particolare, i primi studi su questo approccio hanno dimostrato efficacia proprio nel contrastare condizioni come l’anemia falciforme e la beta-talassemia, due patologie autosomiche recessive innescate dalla carenza di produzione della beta globina. A livello mondiale, sono malattie a prevalenza relativamente alta, e i dati di mortalità ad esse legati hanno indotto gli scienziati a valutare tutte le risorse possibili per porvi rimedio, l’ultima delle quali è proprio la terapia genica.

In una recente revisione, apparsa sulla rivista Journal of Rare Diseases Research and Treatment, il dott. Parul Rai, del Cincinnati Children’s Hospital Medical Center, e il dott. Punam Malik, del Dipartimento di Pediatria del College di Medicina presso l’Università di Cincinnati, hanno esplorato a fondo i traguardi finora raggiunti mediante l’impiego della terapia genica nella lotta a queste malattie ematologiche.

I più immediati vantaggi derivanti dall’impiego della terapia genica sono legati all'assenza di rischio di 'malattia del trapianto contro l’ospite' (GVHD, Graft-Versus-Host Disease), una complicanza associata al trapianto di cellule staminali ematopoietiche con cui tali malattie vengono attualmente trattate. La terapia genica rende inutile il ricorso a un donatore esterno ed elimina alla radice il problema GVHD; d’altro canto, però, solleva una serie di questioni legate al possibile chimerismo e all’aumento dei tassi di mutazione.

Rai e Malik, nel loro lavoro, sottolineano fin da principio l’esigenza di elaborare con scrupolo l’architettura del vettore destinato a portare nella cassetta d’espressione la copia corretta del gene per la beta-globina. Lo scopo è ottenere una risposta efficace e duratura con ampli margini di sicurezza e con una sostanziale riduzione degli eventi avversi. A tal proposito, le due classi di vettore più comunemente ingegnerizzate sono i retrovirus e i lentivirus. Gli elementi responsabili del loro potere patogeno e della loro virulenza vengono rimossi per far posto alla cosiddetta Locus Control Region (LCR), un pacchetto di elementi regolatori che aumentano la capacità d’espressione del gene a cui sono legati. La LCR che viene legata al gene sano della beta-globina si compone di un gruppo di elementi cis-regolatori, formato da 5 siti ipersensibili alla DNasi I, necessari per l’operazione di taglio e inserimento della nuova sequenza di DNA. Senza questi particolari elementi, il livello di espressione della versione corretta del gene scenderebbe vertiginosamente.

L’uso di Gamma-retrovirus, della famiglia dei retrovirus, ha dato risultati incoraggianti perché questi vettori tendono ad integrarsi nei pressi del promotore, aumentando la capacità di espressione genica attraverso sequenze di DNA note come LTR (long terminal repeat). Tuttavia, i virus del gruppo dei lentivirus, come quello dell’HIV, hanno maggiori capacità di carico, attraversano meglio la membrana nucleare e infettano in maniera efficace anche cellule quiescenti. La loro stabilità è maggiore, come pure il tasso di risposta. Purtroppo, anche il rischio di mutagenesi ad essi correlato è più alto.

Una volta stabilito il vettore virale, ci si può focalizzare sulle modalità di rottura della sequenza di DNA, un passaggio fondamentale che può essere espletato dalle zinc finger nucleases (ZFN) o dalle TALENs (transcription activator-like effector nucleases), anche se, negli ultimi tempi, ad ottenere i risultati più saldi è stata la tecnica CRISPR-Cas9, che ha consentito di apportare cambiamenti stabili a livello di diversi geni. La riparazione, infine, è un processo che deve avvenire naturalmente, sia con la riunione delle estremità non omologhe del DNA (Non-Homologus End Joining, NHEJ) o mediante omologia diretta (Homologous Direct Repair, HDR). Oggetto di queste operazioni, nel caso delle patologie ematologiche, sono essenzialmente le cellule progenitrici ematopoietiche CD34+ e, soprattutto, le cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs), che vengono poi reinfuse nel paziente.

La terapia genica si propone, pertanto, di indurre una rottura nella sequenza di DNA per poi sostituire la sequenza mutata con una sequenza corretta, lasciando che gli enzimi di riparazione sistemino il danno. Tale approccio ha già dato buoni riscontri in studi preclinici condotti su modelli murini di beta-talassemia intermedia, beta-talassemia major e anemia falciforme. Le risposte ottenute in termini di trasduzione delle cellule ematopoietiche hanno incoraggiato la prosecuzione degli studi, a cui si sono aggiunti trial nei quali è stata verificata la sicurezza dei vari composti messi a punto.

Nei primi studi clinici realizzati su individui con beta-talassemia major, è stato possibile osservare che alcuni pazienti affetti dalla forma eterozigote divenivano indipendenti dalle trasfusioni già entro un anno dall’inizio del trattamento, con decisi rialzi del livello di emoglobina. Molti di questi pazienti sono addirittura guariti. Gli individui affetti dalla forma omozigote non sono riusciti a raggiungere l’indipendenza dalle trasfusioni, ma hanno avuto notevoli miglioramenti. Altri trial si stanno focalizzando sui regimi di condizionamento con farmaci ad azione mieloablativa, per aumentare l’efficacia delle infusioni.

L’obiettivo per il futuro è potenziare gli effetti del trattamento, innalzando le quantità di cellule trasducibili, intensificando i regimi di pre-condizionamento e aumentando i livelli di espressione genica, per giungere, in futuro, a uno stadio in cui sarà possibile effettuare una diagnosi prenatale e, parallelamente, correggere il difetto genetico, prevenendo addirittura l’insorgenza dei sintomi. Come per l’energia pulita, sarà solo questione di impegno e di giuste tempistiche.

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