Dott. Giacomo Marchi (Verona): “La terapia enzimatica, da sola, non è risolutiva; ad essa vanno necessariamente affiancate altre strategie di intervento, farmacologiche ma non solo”
Negli ultimi vent’anni, i progressi scientifici e la diffusione di biotecnologie sempre più all’avanguardia hanno reso possibile il trattamento di patologie a lungo considerate incurabili. Per molte malattie lisosomiali questo traguardo è stato raggiunto grazie alla messa a punto di terapie enzimatiche sostitutive (ERT), in grado di supplire alla carenza di particolari enzimi litici, fondamentali per la degradazione di diverse macromolecole. “Purtroppo, però, mentre per alcune di queste patologie - come la malattia di Gaucher - la terapia enzimatica sostitutiva è risultata davvero efficace, per la malattia di Fabry, che ha una patogenesi multifattoriale, non è stata altrettanto provvidenziale”, afferma il dottor Giacomo Marchi, dirigente medico dell’Unità di Medicina d’Urgenza (diretta dal prof. Domenico Girelli) dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, centro di riferimento europeo appartenente alla rete MetabERN. “Soprattutto se iniziata precocemente - continua il medico internista - l’ERT permette di rallentare notevolmente il decorso della malattia, ma non è risolutiva e va affiancata a un trattamento di supporto che agisca in sinergia e prevenga le complicanze”. È quanto emerge dai risultati della review pubblicata a maggio di quest’anno dallo stesso dott. Marchi e dal team multidisciplinare dell’AOUI Verona.
LA MALATTIA
La malattia di Fabry, nota anche come malattia di Anderson-Fabry, è una rara patologia lisosomiale legata al cromosoma X e dovuta al deficit dell’enzima alfa-galattosidasi A (Gal-A). La carenza della proteina Gal-A porta ad un accumulo tossico, all’interno dei lisosomi cellulari, di glicosfingolipidi, in particolare di globotriaosilceramide (Gb3). Particolarmente colpiti sono i tessuti viscerali e l’endotelio vascolare, con danni soprattutto a livello renale, cardiaco e neurologico. La sintomatologia della Fabry è estremamente eterogenea e può spaziare da manifestazioni aspecifiche, che concorrono al ritardo diagnostico - come febbre, nausea, diarrea, stipsi, cefalea, astenia e malessere generale - fino a sintomi più distintivi e caratteristici, come le acroparestesie (dolore urente a mani e piedi), l’ipoidrosi o l’anidrosi (difficoltà o totale incapacità di sudare), gli angiocheratomi (neoformazioni cutanee benigne di tipo vascolare) e alcune alterazioni oftalmologiche (cornea verticillata), oltre a gravi cardiomiopatie e nefropatie.
LA TERAPIA ENZIMATICA NON BASTA
“Quello che sta emergendo dalle ricerche più recenti - dichiara il dottor Marchi - è che le manifestazioni cliniche della malattia di Fabry non sono dovute esclusivamente all’accumulo di glicolipidi, target della terapia enzimatica sostitutiva, ma sono spesso il risultato di uno stato infiammatorio generalizzato, caratterizzato da stress ossidativo e danno mitocondriale”. Un esempio emblematico di questo fenomeno si riscontra nella cardiomiopatia associata alla Fabry. “L’innesco di questa condizione è senza dubbio dovuto all’accumulo tossico di glicolipidi - spiega Giacomo Marchi - ma è la risposta delle citochine pro-infiammatorie a determinare il rimodellamento cardiaco, portando all’ipertrofia e alla fibrosi dei cardiomiociti”. Tale reazione infiammatoria non si limita a coinvolgere le cellule muscolari del cuore e dei vasi sanguigni, ma interessa anche le cellule del sistema di conduzione cardiaco, provocando un’instabilità elettrica che può essere all’origine di aritmie potenzialmente mortali. “In generale - rimarca il dirigente medico - l’infiammazione concorre alla progressione della malattia di Fabry e può essere causa di ‘resistenza’ alla terapia enzimatica non solo per quanto riguarda il danno cardiaco, ma anche renale e neurologico”.
TERAPIE FARMACOLOGICHE DI SUPPORTO
“L’Unità di Medicina Interna dell’AOUI di Verona, coadiuvata da un team multidisciplinare, si occupa della malattia di Fabry dal 2018”, racconta il dottor Marchi. “Questa patologia multisistemica necessita di un approccio integrato, prerogativa di noi medici internisti. Anno dopo anno abbiamo imparato a conoscere da vicino la Fabry e abbiamo iniziato a renderci conto della scarsa attenzione riservata alla terapia di supporto, sia in letteratura che nella pratica clinica. Non stiamo parlando di trattamenti opzionali, ma di terapie considerate fondamentali da tutti gli specialisti del settore. Eppure, nonostante questa consapevolezza, dai trial clinici condotti su pazienti in trattamento con terapia enzimatica sostitutiva emerge che spesso meno della metà di loro effettua terapie di supporto”. Una lacuna, questa, che va necessariamente colmata, per dare alle persone con malattia di Fabry la possibilità di trarre il maggior beneficio possibile dalla terapia. L’ERT, infatti, è in grado di rallentare la progressione del danno multiorgano ma gli outcome clinici potrebbero ulteriormente migliorare con l’aggiunta della terapia di supporto.
“Gli ACE-inibitori (inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotesina) e gli ARB (bloccanti del recettore dell'angiotensina), ad esempio, sono farmaci che possono contribuire a preservare la funzionalità cardiaca e renale, soprattutto in quei pazienti che già presentano proteinuria”, afferma il dott. Marchi. “Recentemente, inoltre, è emerso il ruolo protettivo delle glifozine, molecole che sono normalmente utilizzate nel trattamento del diabete e che si sono rivelate rivoluzionarie nella gestione della malattia renale cronica e dello scompenso cardiaco”. La convinzione che questi farmaci possano diventare nel prossimo futuro un pilastro importante della cura della malattia di Fabry ha indotto il dottor Marchi e il suo team di ricercatori a iniziare uno studio clinico specifico sulle glifozine, attualmente in fase di arruolamento.
Tra le altre terapie farmacologiche di supporto per la malattia di Fabry si annoverano i farmaci antipertensivi, il paracalcitolo (in grado di ridurre la proteinuria), i diuretici, i betabloccanti, gli antiaritmici, gli anticoagulanti, i farmaci per il dolore neuropatico, la dialisi e il trapianto di rene. “Ovviamente - sottolinea il dott. Marchi - la strategia terapeutica di supporto va definita caso per caso, sulla base delle caratteristiche personali del paziente e della sua sintomatologia al momento della diagnosi”.
UN APPROCCIO GLOBALE ALLA SALUTE DEL PAZIENTE
I farmaci non sono gli unici trattamenti di supporto disponibili per la malattia di Fabry: una dieta a basso contenuto di FODMAP, l’integrazione di ferro e vitamine e un adeguato esercizio fisico, ad esempio, possono giocare un ruolo importante nel promuovere il benessere delle persone affette da questa patologia. “Al giorno d’oggi, chi prende in carico i pazienti Fabry deve saper dare loro delle risposte aggiornate”, afferma il dott. Marchi. “Attualmente, ad esempio, sappiamo che l’intolleranza alla fatica e all’attività fisica, riferita dalla quasi totalità dei pazienti, non è un sintomo ‘incontrastabile’. La messa a punto di programmi di allenamento individualizzati permette a queste persone di ottenere una serie ricadute benefiche, sia dal punto di vista cardiovascolare che psicologico. Inoltre, siamo ormai in grado di fornire un supporto efficace alla fertilità e alla gravidanza, dando ai nostri pazienti la possibilità di usufruire di una consulenza genetica o della diagnosi preimpianto: strumenti preziosi per le coppie che desiderano un figlio ma che rischiano di trasmettere la malattia di Fabry alla prole”.
“Vista la scarsità di letteratura sul tema, saranno sicuramente necessari nuovi studi per ampliare le conoscenze sulle terapie di supporto per i pazienti affetti dalla malattia di Fabry”, conclude il dott. Marchi. “Tuttavia, già ora mi sento di affermare che un intervento sinergico tra terapia specifica e trattamenti di supporto è fondamentale per garantire al paziente una presa in carico veramente efficace”.
Seguici sui Social