Sulla rivista specializzata Pharmacology è stata pubblicata un'indagine in cui sono stati analizzati e riassunti i risultati provenienti dalle attuali sperimentazioni cliniche di globuline iperimmuni (HIG) specificamente progettate per la prevenzione e il trattamento dell'infezione congenita da citomegalovirus (CMV), che si verifica quando questo tipo di virus, appartenente alla famiglia degli Herpesviridae, viene trasmesso al feto direttamente dalla madre. In questo caso, il cosiddetto citomegalovirus congenito può comportare una serie di conseguenze molto gravi per il nascituro, come la perdita dell'udito, lo sviluppo di severe disabilità e persino la morte.

Il citomegalovirus (CMV) è un virus a DNA a doppia elica che si diffonde tramite fluidi corporei come sangue, saliva, urina, latte materno o secrezioni genitali, invadendo le superfici mucose e replicandosi all'interno di determinate cellule (epatociti, fibroblasti, citotrofoblasti, cellule mieloidi, endoteliali, ecc.).

In base alle stime riportate nell'articolo, l'infezione primaria da CMV avviene nell'1-4% circa delle gravidanze. I tassi di trasmissione materno-fetale del virus sono del 25, 36, 41 e 66%, a seconda che le infezioni si verifichino, rispettivamente, nelle settimane peri-concettuali o nel primo, secondo e terzo trimestre di gravidanza. D'altro canto, la gravità delle conseguenze sul feto diminuisce con l'aumentare dell'età gestazionale. In generale, i neonati che sono affetti da CMV congenito hanno una prognosi sfavorevole: approssimativamente, il 5-15% di essi muore entro le prime 6 settimane di vita, e il 40-60% è colpito da ritardo mentale, paralisi cerebrale, epilessia e progressiva perdita dell'udito o della vista.

La cessazione anticipata della gravidanza è spesso l'unica opzione disponibile per i genitori che non sono disposti a dare la vita ad un neonato gravemente disabile a causa di una documentata infezione da CMV comprovata da anomalie fetali diagnosticate mediante ecografia. Tuttavia, l'aborto in questa fase della gravidanza può essere soggetto a restrizioni legali o dare luogo a obiezioni etiche, data la difficoltà di prevedere la gravità del deficit del neonato. Di fronte a questa complicata situazione, i medici sono sempre più propensi a ritenere che specifiche preparazioni di globuline iperimmuni (HIG) anti-CMV possano rappresentare una valida opzione terapeutica, sebbene non ancora approvata.

L’immunizzazione passiva nei confronti di una malattia viene sfruttata quando l’esposizione alla patologia è recente o si prevede che avverrà prossimamente. A tale scopo si utilizzano le immunoglobuline, che in genere sono di origine umana ma che, talvolta, provengono da animali, oppure le globuline iperimmuni, che si ottengono da gruppi di donatori preselezionati in base alla presenza di elevati livelli anticorpali nei confronti di una determinata malattia. Da esperimenti in vitro è emerso che gli anticorpi IgG anti-CMV, abbondantemente contenute nei prodotti HIG specifici per il citomegalovirus, sono in grado di inibire l'ingresso del virus nelle cellule bersaglio e ostacolarne la diffusione intercellulare.

Gli autori dell'articolo hanno analizzato e sintetizzato i risultati provenienti dagli studi clinici che  sono stati condotti per valutare la sicurezza e l'efficacia della terapia con HIG impiegata sia nella profilassi della trasmissione materno-fetale del CMV, sia nel trattamento delle conseguenze causate dal virus nei feti già infetti.

Per quanto riguarda l'amministrazione profilattica di HIG in donne incinte con infezione primaria da CMV, la terapia ha dimostrato di poter ridurre il rischio di trasmissione materno-fetale del virus. In particolare, dagli esiti di uno degli studi esaminati è emerso che questo trattamento è stato in grado di ridurre il tasso di infezione fetale da CMV dal 40 al 16%, rispetto al gruppo di controllo sottoposto allo standard di cure prenatali.

Allo stesso modo, la tempestiva somministrazione di HIG a donne incinte e ai loro feti si è dimostrata efficace nel ridurre la gravità delle anomalie fetali associate ad infezione da CMV, determinando la regressione o anche la risoluzione di diverse patologie, tra cui l'infiammazione della placenta. La terapia è stata in grado ottenere questi risultati anche se effettuata solamente sulle madri, senza essere combinata con il trattamento intraperitoneale o intraombelicale dei feti.

Dal punto di vista della sicurezza, le HIG sono apparse una scelta affidabile e ben tollerata nella maggior parte degli studi e delle pubblicazioni. Effetti indesiderati lievi e transitori associati al trattamento con globuline iperimmuni per via endovenosa, come febbre, nausea, mialgia, brividi e malessere, si sono generalmente verificati durante la prima infusione o da 1 a 3 giorni di distanza. Complicanze gravi come meningite asettica, insufficienza renale ed emolisi, si sono manifestate raramente e sono state principalmente osservate in pazienti con fattori di rischio predisponenti, dopo dosi eccezionalmente elevate o dopo la somministrazione di formulazioni contenenti stabilizzatori tubulotossici non più in uso.

In conclusione, gli autori dell'articolo sostengono che, nonostante gli studi analizzati presentassero numerose limitazioni, i promettenti risultati ottenuti dall'impiego di globuline iperimmuni per il trattamento del citomegalovirus congenito giustificano la necessità di ulteriori sperimentazioni.

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