Grazie al "test di avidità" è possibile riconoscere le infezioni primarie, quelle più a rischio
EGITTO - L'infezione da citomegalovirus umano (CMV), presente in 0.15-2 per cento delle gravidanze, è la causa principale di malformazione congenita nei paesi in via di sviluppo e viene trasmessa al feto fino al 40 per cento dei casi.
Il rischio più alto di malformazioni fetali incorre in presenza di infezioni primarie, cioè infezioni contratte da donne in gravidanza che non sono mai venute a contatto con il virus, quindi non hanno sviluppato gli anticorpi specifici. La maggior parte delle persone è però già entrata in contatto con il virus, che rimane latente per anni e può riattivarsi causando infezioni secondarie, decisamente meno pericolose per il feto.
Il normale test che si effettua per individuare la presenza del CMV in gravidanza, la quantificazione di anticorpi IgM anti-CMV, crea spesso problemi e falsi positivi, poiché questi anticorpi possono restare in circolo anche dopo mesi o anni dall'infezione primaria. Per questo spesso si ricorre ad una tecnica più recente che misura l'avidità di legame, cioè un'indicazione della forza del legame tra l'anticorpo e l'antigene, che aumenta nelle prime settimane dopo l'infezione primaria.
Gli anticorpi IgG a bassa avidità vengono poi sostituiti da altri ad alta avidità e la presenza contemporanea di IgM anti-CMV e IgG a bassa avidità, insieme al comparire di sintomi materni o fetali, è indicativo di un'infezione primaria.
Questa tecnica è detta "test di avidità", o "avidity test".
In Egitto la prevalenza dell'infezione da CMV non è conosciuta per la mancanza di un programma di screening e per l'assenza di mezzi accessibili per identificare infezioni primarie.
I ricercatori del Dipartimento di Patologia Clinica dell'Università del Canale di Suez a Ismailia hanno valutato, attraverso il test di avidità di IgG eseguito su campioni di sangue di circa 546 donne in gravidanza, il rischio di infezione primaria da CMV e ora i risultati sono stati pubblicati su Medical Principles and Practice.
Tutte le donne che hanno partecipato allo studio sono risultate positive per le IgG anti-CMV e 40 di queste hanno avuto risultato positivo per gli anticorpi IgM. Il siero di queste ultime mostrava indice di avidità IgG alto o intermedio e nessuna delle 40 donne, come atteso, presentava infezione primaria da CMV.
Come in precedenti studi svolti in Egitto, Iran e altri paesi del Medio Oriente, la prevalenza di IgM anti-CMV è risultata elevata, portando prove a favore della natura endemica dell'infezione nella regione del Canale di Suez.
“Al momento - concludono gli autori – il test di avidità delle IgG sembra lo strumento più accessibile per distinguere le infezioni da CMV primarie e secondarie. Nel nostro studio l'utilizzo del test è stato utile al fine di escludere la presenza di infezione primaria da CMV senza la necessità di procedure diagnostiche invasive”.
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