Cheratite neurotrofica, intervista al prof. Nubile

Prof. Mario Nubile: “L’importante è intervenire il prima possibile, per scongiurare danni irreversibili alla vista o la perdita dell’occhio”

Alcune settimane prima di entrare nel cuore dell’estate, il centro congressi del Campus Pierre and Marie Curie, presso l’Università La Sorbona di Parigi, ha ospitato il 15esimo Meeting Internazionale di EuCornea, la Società Scientifica europea dedicata allo studio delle malattie della cornea. Da molti anni considerata un punto di riferimento per gli specialisti della cornea e della superficie oculare, EuCornea è presieduta dalla professoressa Beatrice Cochener e raccoglie a sé oftalmologi e oculisti di tutto il continente europeo, tra cui il professor Mario Nubile che, in veste di segretario della Società, ha preso parte a un simposio dedicato alla diagnosi e al trattamento della cheratite neurotrofica (NK).

Infatti, nel pomeriggio di sabato 25 maggio il prof. Nubile, insieme ai colleghi Maria Phylactou e Antonio di Zazzo, ha illustrato le modalità diagnostiche della NK e gli attuali approcci terapeutici per questa rara malattia. “La cheratite neurotrofica è una patologia in cui un danno a livello centrale o periferico nell’innervazione trigeminale della cornea genera l’incapacità di questa membrana oculare di ricevere il supporto nutritivo da parte delle terminazioni nervose”, spiega il prof. Nubile, della Clinica Oftalmologica dell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara. “Ciò provoca un’ulcerazione della cornea cronico-recidivante spontanea che tende a complicarsi fino a raggiungere quadri gravi, in grado di intaccare sia la funzione visiva che l’integrità anatomica dell’occhio, col rischio di complicarsi in perforazione corneale, un’emergenza oculistica che può portare alla perdita dell’occhio”.

Seppure considerata una malattia rara, la cheratite neurotrofica è più frequente di quel che si pensi ed è sostenuta da cause di tipo differente: dalle infezioni virali da herpes simplex o herpes zoster a condizioni croniche, come il diabete, fino a operazioni neurochirurgiche per il trattamento di patologie oncologiche o, ancora, ad interventi di chirurgia oculare che possono indurre un danno al nervo trigemino. “Varie modalità di lesioni, centrali o periferiche, del nervo trigemino sono causa di sofferenza dei tessuti della cornea, la cui sensibilità viene ridotta e che, perdendo il trofismo mantenuto da una corretta innervazione, va così incontro alla formazione di ulcere difficili da guarire”, precisa Nubile. A meno di non sperimentare fin da subito un calo centrale della vista, nelle prime fasi della malattia è difficile accorgersi del problema, dal momento che manca la sensibilità a livello della cornea e che quindi, molto spesso, la cheratite neurotrofica non si manifesta con dolore tale da mettere il paziente in allerta: per tale ragione capita frequentemente che la diagnosi di NK arrivi quando la cornea è ormai già significativamente compromessa. “In quel caso subentra nel paziente un deciso calo visivo che, purtroppo, difficilmente potrà essere recuperato”, prosegue Nubile. “Perciò si rendono necessari interventi particolarmente complessi e invasivi”.

La cheratite neurotrofica compromette gravemente la qualità di vita di chi ne è affetto, mettendo a forte rischio l’integrità del bulbo oculare: identificarla precocemente è quindi un obiettivo prioritario. “L’esame clinico è fondamentale per fare una diagnosi differenziale con altre lesioni corneali di tipo infettivo o autoimmune”, sostiene l’esperto oftalmologo. “L’utilizzo di estesiometri serve a misurare la riduzione della sensibilità della cornea ma esistono strumenti, come il microscopio confocale in vivo, che permettono di indagare il plesso nervoso della cornea, l’epitelio e le cellule che compongono lo stroma [il più spesso dei cinque strati da cui è costituita la cornea, N.d.R.]. Infine, la tomografia ottica a radiazione coerente (OCT) può essere utile per studiare in sezione l’anatomia corneale e valutare la profondità e l’estensione del danno”.

Una volta fatta la diagnosi è necessario effettuare una stadiazione della malattia, per scegliere il miglior approccio terapeutico sulla base della severità delle lesioni. “Nelle forme lievi di NK il danno è circoscritto e non è ancora presente un’ulcera epiteliale vera e propria, ma solo sofferenza e micro-erosioni dell’epitelio corneale”, afferma Nubile. “L’ulcerazione epiteliale invece, compare nelle forme moderate e tende a rispondere molto difficilmente alle terapie convenzionali. Nelle forme avanzate l’ulcerazione raggiunge gli strati più profondi della cornea, con una marcata tendenza alla perforazione con colliquazione della cornea [una grave situazione che in inglese prende il nome di “melting”, N.d.R.]”.

Il trattamento delle forme lievi di NK consiste nell’impiego di sostanze lubrificanti prive di conservanti tossici per l’epitelio della cornea: lo scopo della terapia è proteggere la superficie corneale puntando il più possibile al ripristino della funzione nervosa, ragione per cui a volte si utilizzano lenti a contatto di protezione, che hanno l’obiettivo di evitare traumi alla superficie dell’occhio. “Quando la malattia è in stadio moderato può rendersi necessaria la chiusura chirurgica, reversibile, delle palpebre, che viene effettuata con la tecnica della tarsorrafia e che garantisce una buona guarigione”, spiega Nubile. “Nelle forme gravi, invece, si ricorre all’innesto di membrane amniotiche o di lembi di congiuntiva, oppure si prende in considerazione il trapianto di cornea vero e proprio, che rimane però una soluzione altamente invasiva e non comporta la restituzione della visione al paziente. A quest’ultimo stadio, infatti, l’obiettivo è quello di chiudere un’ulcera, cioè una perdita di sostanza del tessuto corneale, un risultato difficile da ottenere anatomicamente con conservazione della funzione visiva”.

La gestione terapeutica della cheratite neurotrofica prevede anche il ricorso a farmaci che servono a prevenire l’aggravamento delle forme più lievi. “Negli anni varie soluzioni sono state sperimentate, dai sieroderivati ottenuti da cellule del paziente stesso al gel autologo su base piastrinica, fino a sostanze che mimano l’effetto dei proteoglicani sulla superficie oculare e favoriscono l’adesione delle cellule epiteliali”, conclude Nubile. “Tuttavia, l’unico farmaco attualmente approvato in Europa e negli Stati Uniti, in grado di favorire la chiusura e la guarigione delle ulcere neurotrofiche, promuovendo la ricrescita dei nervi e supportando il miglioramento anatomico dell’innervazione corneale, è un collirio a base di NGF (fattore di crescita dei nervi), l’enzima scoperto e studiato da Rita Levi-Montalcini che esercita un effetto tangibile sui neuroni e sulle fibre nervose oculari”. Il racconto di come l’NGF sia divenuto un farmaco per la cheratite neurotrofica ha visto protagonista un gruppo di ricercatori italiani e, ancora oggi, costituisce un’intensa pagina di storia della medicina.

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