Il carcinoma midollare della tiroide (CMT) è uno dei tumori tiroidei meno diffusi, di cui rappresenta il 5-10% dei casi. In Italia questa forma tumorale colpisce circa 200 individui ogni anno e si manifesta frequentemente in età giovanile. Origina dalle cellule C della tiroide che secernono calcitonina, un ormone coinvolto nel mantenimento delle concentrazioni di calcio nel sangue entro i valori fisiologici. In caso di proliferazione tumorale la calcitonina viene prodotta in eccesso, alterando questo equilibrio. Dal punto di vista epidemiologico esistono due forme di carcinoma midollare della tiroide: la forma sporadica (75%) e la forma familiare (25%) con differenti risvolti diagnostico terapeutici.

La forma sporadica ha un picco d’incidenza alla quinta e sesta decade di età e, di solito, si presenta come un nodulo singolo, unilaterale, scintigraficamente freddo, con un’incidenza massima dopo i 40 anni, con metastasi linfonodali frequenti alla diagnosi, sindrome diarroica spesso presente e calcificazioni del nodulo tiroideo.
La forma familiare si manifesta più frequentemente nella seconda e terza decade nell’ambito delle MEN 2B, comunque sempre prima dei 40 anni con manifestazioni anche in età pediatrica; la neoplasia è multifocale e bilaterale e viene trasmessa con modalità autosomica dominante.
Il carcinoma midollare familiare isolato, invece, predilige la quarta/sesta decade di vita.
Il CMT familiare ha una trasmissione autosomica dominante con una elevata penetranza, maggiore del 90%, con variabile espressività.
Vi sono, inoltre, altri fattori genetici che condizionano il grado di penetranza del CMT, come l’omozigosi o l’eterozigosi delle mutazioni del gene RET ed anche la presenza di polimorfismi genetici.
La diagnosi differenziale tra le diverse forme di CMT è importante sia per il trattamento che per il follow-up del paziente, sia per le scelte terapeutiche da seguire

SINTOMI
In genere, i tumori tiroidei non sono aggressivi e sono caratterizzati da una lenta progressione. Tuttavia possono rimanere asintomatici a lungo, ritardando la diagnosi e l’avvio delle terapie adeguate per arrestare la malattia. La presenza di un nodulo nella parte anteriore del collo, in corrispondenza della tiroide, può essere un segnale di allarme ma spesso queste formazioni sono di piccole dimensioni, soprattutto agli stadi iniziali, e difficilmente riconoscibili alla palpazione. Esistono sintomi aspecifici che possono sollevare il sospetto di tumore tiroideo, come gonfiore in prossimità della gola, un cambiamento di voce improvviso o raucedine, mal di gola, tosse, difficoltà di deglutizione e respiratorie.

DIAGNOSI
E’ l’esame del sangue il principale strumento per riconoscere il carcinoma midollare della tiroide, attraverso il dosaggio della calcitonina. Valori molto elevati di questo ormone richiedono, in genere, un approfondimento ecografico per l’individuazione di eventuali noduli non riscontrabili alla semplice visita medica. Nella maggior parte dei casi il tumore si manifesta in forma sporadica, senza una specifica causa di insorgenza. Nel 25% dei casi, invece, è di tipo famigliare e si trasmette in forma dominante. La scoperta della mutazione nel gene Ret ha permesso di riconoscere precocemente il carcinoma midollare ereditario, attraverso l’analisi genetica e di individuare, in presenza di storia famigliare, chi è più a rischio di sviluppare il tumore.    
In caso di ritardo diagnostico e intervento non tempestivo questo tipo di tumore può creare metastasi ai linfonodi paratracheali e cervicali, può diffondersi per via ematogena al fegato, al polmone e alle ossa negli stadi avanzati della malattia.

TERAPIA
L’asportazione completa della tiroide è ancora la strategia di prima linea in caso di tumore e, più in generale, di malfunzionamento della ghiandola. E’ consigliata anche la rimozione chirurgica preventiva, qualora il paziente abbia un alto rischio di sviluppare il carcinoma per la mutazione nel gene Ret. In genere, vengono rimossi anche i linfonodi nell’area circostante alla massa tumorale. Il trattamento post-operatorio consiste nella terapia ormonale sostitutiva, che si mantiene per tutto il corso della vita per compensare la mancata produzione di ormoni tiroidei. Quando il tumore è particolarmente aggressivo o è già in fase avanzata, vengono associate anche chemioterapia e radioterapia, che però per la forma midollare non hanno mai dimostrato una efficacia particolarmente elevata.    
Attualmente nuove speranze terapeutiche sono rappresentate da farmaci che funzionano inibendo sia la neoangiogenesi che la proliferazione tumorale. Il primo ad essere stato specificamente studiato per il trattamento di questa rara forma di tumore tiroideo, è vandetanib. Approvato dall’Ema nel febbraio 2012, ha dimostrato una grande efficacia, riuscendo a ridurre la velocità di crescita e addirittura a bloccare le cellule tumorali. La molecola agisce attraverso l’inibizione del fattore di crescita vascolare endoteliale ed è in grado di bloccare la crescita dei vasi che portano sangue al tumore. Inoltre, blocca i recettori del fattore di crescita epidermico, riducendo la crescita e la sopravvivenza tumorale. L’autorizzazione alla commercializzazione europea si basa sui risultati positivi emersi da un ampio studio clinico di fase 3 chiamato ZETA, condotto su 331 pazienti con carcinoma midollare della tiroide (CMT) localmente avanzato o metastatico, il 20% dei quali arruolati in Italia. L’analisi ha dimostrato una riduzione del 54% del rischio di progressione di malattia rispetto al placebo.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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* Prontuario di terapia endocrina e metabolica di F.Monaco, Giuliani Ed SEU 2006Kloos R, Eng C, Evans D, et al. Medullary thyroid cancer: management guidelines of the American Thyroid Association Thyroid 2009, 19: 565-612.
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