Pseudo ostruzione intestinale cronica - storia di Barbara Parma

Professoressa di Lettere da più di vent’anni, Barbara Parma racconta la sua esperienza con la patologia: “L’atto di nutrirsi diventa improvvisamente un tormento”

Dagli albori della civiltà la condivisione del cibo ha rappresentato un valore sociale capace di andare ben oltre la semplice necessità fisiologica. La preparazione e il consumo dei pasti, seppur atti imprescindibili per la sopravvivenza, non assolvono solo alla funzione di nutrizione, ma rappresentano un fattore identitario, relazionale, culturale e, quindi, anche letterario. Ne sa qualcosa Barbara Parma, professoressa di Lettere da più di vent’anni: “Il cibo frequenta da sempre le pagine della letteratura; si può dire che sia un argomento senza luogo e senza tempo, proprio perché onnipresente”.

Dal frutto proibito della Genesi alle incursioni culinarie dell’immaginario dantesco, dalla ‘polentina’ di Tonio ne “I promessi sposi” al sontuoso pranzo di nozze in “Madame Bovary”, dalla madeleine di Proust a “Il pranzo di Babette” di Karen Blixen: gli esempi letterari sono innumerevoli e sono la testimonianza dello stretto rapporto che, da sempre, il cibo intesse con la socialità e la convivialità. Un delicato equilibrio che va in frantumi se, a tavola, decide di sedersi un ‘ospite’ tanto inatteso quanto indesiderato: la pseudo-ostruzione intestinale cronica (CIPO), la più rara e grave malattia della motilità gastrointestinale.

Con la CIPO l’atto di nutrirsi, così naturale e piacevole, diventa improvvisamente un vero e proprio tormento”, racconta Barbara, milanese, affetta dalla patologia. “La vita si trasforma in un incubo. A volte ripenso ancora al sapore del panino con la nutella che mangiavo da bambina, o alla dolce friabilità di un croissant appena sfornato. Oggi sono solo ricordi: il dolore e la paura mi impediscono di avvicinarmi al cibo, eccezion fatta per alcuni tipi di gelato, che ancora riesco ad assaggiare. La CIPO mi ha tolto tutto: la possibilità di mangiare, così come quella di evacuare, altra imprescindibile necessità fisiologica”.

“Non solo: la malattia mi ha mostrato un lato delle persone che avrei preferito non vedere”, aggiunge Barbara. “Perché non mangi?”; “Sarai mica a dieta?”; “La signora vuole dimagrire”: questi sono solo alcuni dei commenti indelicati che la donna si è sentita rivolgere negli ultimi anni. “L’ottusa incapacità di capire la sofferenza ferisce più del dolore della malattia, e la CIPO è una patologia estremamente penosa”, afferma con amarezza Barbara Parma.

LA MALATTIA DI BARBARA

La pseudo-ostruzione intestinale cronica rappresenta il fenotipo clinico più grave fra tutte le condizioni caratterizzate da dismotilità intestinale. La malattia, infatti, è contraddistinta da una disfunzione motoria del tubo digerente così severa da simulare una vera e propria occlusione: l’intestino si blocca come nel caso di un’ostruzione meccanica, ma senza che ci sia nessun corpo estraneo (come un fecaloma o un tumore). Il problema è funzionale e risiede nella peristalsi, la famosa ‘spinta’ dell’intestino, che nel caso della CIPO può essere deficitaria o completamente assente.

Le persone affette da questa patologia presentano sintomi estremamente gravi e invalidanti, che tuttavia possono iniziare ‘in sordina’, in modo quasi subdolo. “Ho cominciato a soffrire di dolori addominali circa vent’anni fa”, racconta la professoressa. “All’inizio non si trattava di un disturbo costante, ma in breve tempo gli spasmi sono diventati sempre più forti e frequenti, spesso intrattabili, e accompagnati da malassorbimento e perdita di peso”. A volte, i dolori di questi pazienti sono talmente lancinanti da non rispondere positivamente nemmeno alla somministrazione di oppiacei, rendendoli assuefatti senza un reale beneficio. “Per fortuna, da quando ho ricevuto la diagnosi di CIPO, riesco a ricevere un farmaco palliativo che, con la carta ospedaliera, arriva appositamente per me dalla Polonia”, sottolinea Barbara Parma. “Mi aiuta molto, ma non si può definire una vera e propria cura”.

La mancanza di trattamenti risolutivi per la CIPO è dovuta, almeno in parte, al fatto che non siano stati ancora del tutto compresi i meccanismi eziopatogenetici. Alla base della disfunzione del transito intestinale che caratterizza la CIPO ci possono essere anomalie del sistema nervoso enterico (neuropatia viscerale), della muscolatura liscia (miopatia viscerale) o delle cellule interstiziali di Cajal (mesenchimopatia). Inoltre, la pseudo-ostruzione intestinale cronica può essere classificata come primaria (quando la patologia si presenta da sola), secondaria (quando è associata ad altri disturbi muscolari, neurologici, immunologici, metabolici ed endocrini, a neoplasie o a infezioni virali, oppure quando insorge come conseguenza di interventi chirurgici, trattamenti farmacologici o esposizione a sostanze tossiche) o idiopatica (quando la causa scatenante non viene identificata). “Purtroppo, nel mio caso si tratta quasi sicuramente di una forma secondaria. La CIPO, infatti, non è l’unica malattia con la quale convivo”, spiega Barbara. “Sono affetta anche da una grave patologia autoimmune, una connettivite indifferenziata, che mi provoca forti dolori articolari e seri problemi agli occhi e alle mucose”.

“Nel complesso, la mia vita è stata complicata e difficile, e non mi vergogno di ammettere di aver pensato anche all’eutanasia. Qui in Italia è illegale, ma i dolori fortissimi e l’incapacità di capire quale fosse il problema alla base delle mie sofferenze mi avevano gettato nella disperazione. Continuavo a rimbalzare da un ospedale all’altro senza che nessuno riuscisse a capire da quale patologia fossi affetta”, racconta la donna con amarezza. “Sono stata visitata da decine di specialisti, gastroenterologi, reumatologi, addirittura psichiatri, e le diagnosi erano ogni volta diverse: colite ulcerosa, malattia di Chron, malattia infiammatoria intestinale, ma anche depressione o anoressia nervosa”.

Due anni fa la svolta: grazie al suggerimento del dottor Marco Dinelli, primario di gastroenterologia del San Gerardo di Monza, e al concreto supporto di Anna Geti, presidente dell’associazione GIPsI OdvBarbara Parma approda alla Struttura Complessa di Medicina Interna del Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna. Qui, dopo diverse visite ed esami, è arrivata la diagnosi: pseudo-ostruzione intestinale cronica. “Nonostante l’amarezza nello scoprire che si tratta di una malattia orfana di cure, aver individuato la CIPO mi ha donato un incredibile sollievo”, racconta la professoressa di Lettere. “Aver dato finalmente un nome alla mia enorme sofferenza mi ha restituito dignità umana e, di questo, devo ringraziare la dottoressa Rosanna Cogliandro e il professor Vincenzo Stanghellini, del Policlinico S. Orsola-Malpighi”.

La consapevolezza della mia malattia, tuttavia, non ha cambiato il mio ‘status’: mi rifiuto di indentificarmi con l’etichetta di paziente e di rinunciare al rango di persona”, afferma Barbara risoluta. “Troppo spesso ci dimentichiamo di quanto sia straordinariamente ordinario ammalarsi. La malattia non toglie dignità umana ma aggiunge capacità di empatia e compassione”. Nel senso etimologico del termine, infatti, la “compassione” - dal latino cum patior, patire insieme - non è sinonimo di “pena”. “La malattia – sottolinea Barbara – ci dona uno sguardo limpido che modifica la nostra relazione con gli altri, nel segno di una delicatezza nuova”. La visione letteraria con cui Barbara Parma affronta la malattia è la sua forza. Del resto, “l’uomo vuole che il suo cibo non sia solo “buono da mangiare”, ma vuole anche, citando Lévi-Strauss, che sia “buono da pensare”, perché fra tutte le cose di cui ci nutriamo vi sono anche le idee” (Michael Pollan, “Cotto”).

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