Malattia di Castleman - associazione AMICa

Il presidente Savà: “Metto a disposizione la mia trentennale esperienza di paziente, perché so quanto sia difficile lottare contro questa patologia”

Il primo impatto è durissimo, ti senti solo, spaventato, abbandonato dagli altri e dal mondo”. Così descrive l’incontro con la malattia con cui convive da quasi 30 anni, Claudio Savà, presidente di AMICa-Associazione Malati Italiani di Castleman: una patologia molto rara e poco nota all’interno della stessa comunità scientifica, che può colpire a tutte le età attraverso un gruppo eterogeneo di disordini linfoproliferativi. Descritta per la prima volta dal patologo statunitense Benjamin Castleman nel 1954, la malattia comporta una condizione di infiammazione sistemica e un aumento di dimensione dei linfonodi, con possibile danneggiamento degli organi. Può essere unicentrica o multicentrica, in quanto può coinvolgere una o più stazioni linfonodali. Secondo alcuni studi negli Stati Uniti si ipotizzano 21 casi per 1 milione di persone. “Ma la cosa peggiore è l’incertezza, nonostante i progressi della ricerca, ancora oggi non sai mai bene cosa ti potrà accadere”, precisa il presidente di AMICa.

Claudio Savà ha ricevuto la diagnosi nell’ormai lontano 1995, quando aveva solo 22 anni. “All’inizio i dottori dell’Ospedale Evangelico Valdese di Torino pensavano a un tumore raro”, racconta. “Erano in imbarazzo, non sapevano cosa dirmi, perché come fai a raccontare a un ragazzo che ha una malattia così grave?”, ricorda. Claudio era stato operato d’urgenza per via di un’infiammazione dei linfonodi del collo, poi l’interminabile attesa dei 30 giorni necessari ad avere i risultati dell’esame oncologico e infine il verdetto. “Lì per lì rimasi impassibile”, prosegue. “Il corpo era immobile, ma dentro di me qualcosa era andato in frantumi”. Eppure si considera fortunato per aver ricevuto velocemente la diagnosi giusta. “A differenza di tanti compagni di lotta ho potuto cominciare subito la terapia con farmaci cortisonici e steroidei. Ma i primi anni sono stati molto difficili”. Da quel momento, infatti, la vita diventa piena di imprevisti: ci sono i dolori e la spossatezza, il calo ponderale e le continue febbriciattole. Soprattutto ci sono le recidive, che ogni volta ti riportano indietro, al punto di partenza. E poi c’è il crollo psicologico e i rapporti con gli altri, che non girano più come prima. “In quel periodo lavoravo nella ristorazione, allontanarmi dal lavoro per sottopormi ai controlli era un problema. Mi chiedevano di farli nel giorno di chiusura settimanale del locale oppure durante il giorno di riposo. Era una guerra continua”, racconta Claudio. Ma anche le relazioni sono messe alla prova. “A poco a poco spariscono tutti, ti si fa il vuoto intorno, restano solo la famiglia e pochi amici fidati. Sono anche stato chiuso in camera per settimane, non avevo né la forza né la voglia di vedere nessuno, ero diventato la fotocopia del mio letto”.

Passano 20 anni di difficoltà e di dolore: il dolore fisico che ti si legge in volto e quello esistenziale che ti fa allontanare da tutti, anche quando le condizioni di salute ti permetterebbero di stare con gli altri. Claudio perde il lavoro, l’Ospedale Evangelico Valdese chiude e l’équipe che lo ha preso in carico fino a quel momento si disperde, scade perfino l’esenzione sanitaria, è tutto terribilmente complicato. Si cura come può, contando sulla disponibilità di un unico oncologo, Massimiliano Icardi, che prende a cuore la situazione e rappresenta l’unico punto di riferimento. Claudio per fortuna ha un carattere reattivo, e reagisce. “La rabbia è stata la mia unica forza, sono andato avanti a testa bassa, solo e abbandonato a me stesso”, sottolinea. Nel 2015 per fortuna le cose migliorano. Viene preso in carico dal COES, il Centro Oncologico Ematologico Subalpino dell’Ospedale Molinette di Torino, dove non solo ritrova un punto di riferimento per le cure, ma anche un ambiente amichevole e accogliente. È in questo periodo che, per impulso di Simone Ferrero, ricercatore presso l'Ematologia universitaria del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino, nasce l’idea di creare un’associazione di pazienti e medici, la prima in Italia e anche in Europa. “Quando si è presentata l’occasione non ci ho pensato due volte”, dice. “Finalmente avrei avuto l’opportunità di mettere il mio dolore a servizio di altri”.

AMICa viene ufficialmente presentata il 23 luglio 2021, nel corso della Giornata Mondiale della Malattia di Castleman. Il vice presidente e coordinatore del Comitato scientifico è lo stesso Ferrero, che ne ha accompagnato la costituzione. La mission principale è quella di supportare i pazienti, di promuovere la formazione e l’informazione sulla patologia anche all’interno della comunità scientifica e di avviare un “censimento” sul territorio nazionale. Oggi l’associazione, che da qualche settimana è anche entrata a far parte dell’Alleanza Malattie Rare, conta una quarantina di iscritti e riceve una ventina di richieste di aiuto e informazioni ogni anno da parte di pazienti e familiari. “Promuoviamo anche raccolte fondi per finanziare la ricerca e stiamo avviando un progetto dedicato ai più piccoli”, conclude il presidente. “Personalmente metto a disposizione la mia esperienza di paziente di lunga data, perché so quanto sia difficile lottare contro questa malattia. Nei suoi 3 anni di vita l’associazione è riuscita a crescere e, per quanto mi riguarda, se riesco ad aiutare anche una sola persona posso dichiararmi felice”.

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