Giornata mondiale dell'ipofosfatasia

Oggi è la Giornata mondiale dedicata alla patologia, che in Europa colpisce una persona su 300.000 nelle forme severe e letali

Roma – Un continuo pellegrinaggio da un ambulatorio all'altro per curare le fratture ossee, che con il tempo diventano sempre più dolorose: è il calvario che devono sopportare i pazienti – soprattutto quelli adulti – affetti da ipofosfatasia (HPP), rara malattia dello scheletro di cui si celebra oggi la Giornata mondiale. Una ricorrenza che segue di ventiquattr'ore la Giornata internazionale delle malattie rare delle ossa, di cui l'ipofosfatasia fa parte.

Di queste patologie si è parlato ieri, nel corso di un convegno che si è svolto in Senato, organizzato per la prima volta insieme dalla Fondazione FIRMO (Fondazione Italiana Ricerca sulle Malattie dell'Osso), da AIFOSF (Associazione italiana dei pazienti con disordini rari del metabolismo del fosfato) e da API (Associazione Pazienti Ipofosfatasia).

In questa occasione clinici e pazienti hanno lanciato un appello congiunto: il sistema diagnostico attivo nel nostro Paese deve essere implementato partendo da una maggiore formazione del personale medico. Inoltre, va facilitato l'accesso agli esami di diagnosi genetica o biochimica rapida, che non si possono ottenere in tutti i laboratori. In Italia, infatti, le diagnosi precoci di malattie rare dello scheletro sono ancora poche: possono trascorrere in media fino a 10 anni prima che siano correttamente individuate. La situazione è simile sia per l'ipofosfatasia (una malattia metabolica originata dalla perdita di funzione dell'enzima fosfatasi alcalina) che per l'ipofosfatemia (una condizione caratterizzata da bassi livelli di fosforo nel sangue).

“La diagnosi risulta molto più facile nel bambino in età neonatale, quando queste malattie si manifestano con segni molto evidenti e difficili da non riscontrare”, ha spiegato la prof.ssa Maria Luisa Brandi, presidente della Fondazione FIRMO. “Si registrano casi di fratture ossee già addirittura nell'utero materno durante la gestazione. Il problema emerge quando finisce l'età pediatrica e la malattia non è ancora stata scoperta. Ciò avviene soprattutto nel caso in cui le mutazioni genetiche sono meno rilevanti e di conseguenza vi sono minori manifestazioni della patologia. Fortunatamente, per entrambe le malattie, sono state messe a punto nel corso degli anni delle terapie molto efficaci”.

Ad oggi sono state identificate oltre 310 mutazioni genetiche che limitano o bloccano l’attività della fosfatasi alcalina tessuto non-specifica (TNSALP) causando l'ipofosfatasia, una malattia ereditaria che in Europa colpisce una persona su 300.000 nelle forme severe e letali. Il numero complessivo dei casi è invece difficile da determinare perché, soprattutto nelle forme dell’età adulta, presenta sintomi molto vari, tali da condurre spesso a diagnosi errate. A seconda delle diverse forme può essere trasmessa in modalità recessiva (per manifestare la patologia occorre che entrambi i genitori trasmettano il gene mutato) oppure dominante (è sufficiente che uno solo dei genitori trasmetta il gene mutato).

Il trattamento dell'ipofosfatasia risulta complicato dai molti ritardi diagnostici accumulati nell'individuazione della patologia”, ha sottolineato Luisa Nico, presidente API. “Tutto ciò aumenta la sofferenza degli ammalati e spesso anche l'angoscia dei loro familiari. Contro le difficoltà di cura e di assistenza dei pazienti, è necessario che le strutture sanitarie di riferimento facciano rete e mettano in condivisione le proprie conoscenze”.

Poiché le mutazioni genetiche che causano la malattia sono diverse, anche i sintomi e le manifestazioni cliniche della patologia sono vari. In ogni caso la ridotta o assente attività della fosfatasi alcalina genera un difetto della mineralizzazione dei denti e delle ossa, causando fragilità ossea (con fratture frequenti o in assenza di trauma, sia in età pediatrica che adulta), deficit di crescita e rachitismo nei bambini, osteomalacia e deformità ossee negli adulti, oltre a perdita prematura dei denti, malattie parodontali e carie ricorrenti. Nelle forme più severe si riscontrano anche gravi manifestazioni neurologiche (convulsioni, crisi epilettiche, encefalopatia, insonnia, ansia e depressione) e respiratorie (distress respiratorio e insufficienza respiratoria).

“In Italia esistono delle eccellenze nella gestione delle malattie rare dell'osso”, prosegue la prof.ssa Brandi. “Siamo stati il primo Paese al mondo ad offrire un servizio gratuito per la diagnosi di ipofosfatasia. L'accertamento preciso di queste patologie può essere molto difficile, anche perché non tutti i medici hanno le competenze per riconoscerle. Sono poi pochi i centri che hanno un accesso sicuro e garantito ad esami diagnostici non facili da eseguire. Sono infatti svolti in laboratori altamente specializzati che non effettuano solo semplici esami di routine”.

“Accogliamo i solleciti che sono arrivati oggi dai rappresentanti dei clinici e dei pazienti”, ha concluso l'onorevole Ylenia Zambito, dell'Intergruppo parlamentare per le fratture da fragilità. “Il nostro Intergruppo nasce proprio con l'obiettivo di rafforzare l'impegno da parte delle istituzioni verso delle patologie importanti come le fratture da fragilità. Nel caso specifico delle malattie rare dell'osso, le difficoltà sono ancora maggiori per pazienti, caregiver e anche per gli specialisti. Ben vengano quindi iniziative, come quella odierna, che hanno il merito di accendere i riflettori su problemi sociosanitari che necessitano maggiore attenzione”.

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