Un primo intervento ai reni, poi un secondo a reni e fegato: tutto ciò a causa di una mancata diagnosi
Gela (Caltanissetta) – Il lungo percorso per arrivare a una diagnosi, il dolore dei calcoli renali e la paura che si ripresentino, la speranza nel trapianto: ecco cosa hanno in comune le persone affette da una rarissima malattia chiamata iperossaluria primitiva. Questa patologia metabolica, a trasmissione autosomica recessiva, provoca un'iperproduzione di ossalato nel fegato: questo sale di calcio è insolubile e quasi interamente escreto dai reni. Le conseguenze sono nefrolitiasi ricorrente (calcoli renali) e nefrocalcinosi (deposito di calcio nel parenchima renale), che portano a una progressiva insufficienza renale.
Ne sa qualcosa Antonino Orazio Romano, 43enne di Gela, in provincia di Caltanissetta. Per lui, all'età di 9 anni, il primo sintomo è l'emeturia, il sangue nelle urine: la radiografia e la risonanza magnetica evidenziano un calcolo nel rene destro, che viene asportato all'ospedale “Borgo Roma” di Verona. Segue una terapia giornaliera per tenere sotto controllo il pH delle urine e impedire che diventi troppo alcalino, e per dieci anni i calcoli non ricompaiono. Poi, a 18 anni, il medico di base sospende la terapia, e nel decennio successivo si susseguono diversi calcoli renali bilaterali, finché Antonino è costretto a ricorrere alla dialisi per cinque giorni la settimana e a mettersi in lista d'attesa per un trapianto di reni.
L'intervento, effettuato nel 2008, va a buon fine, ma dopo una settimana ci sono già i primi sintomi da rigetto acuto: in realtà, però, non si trattava di un rigetto, ma della patologia di base (appunto l'iperossaluria primitiva, non ancora scoperta) che aveva già aggredito gli organi trapiantati. “La svolta avviene grazie a un giovane ricercatore di Verona, il dr. Marco Zaffanello, che con un semplice prelievo di sangue arriva alla diagnosi corretta”, racconta Antonino. “Inizia così la corsa al trapianto combinato di reni e fegato, mentre l'ossalato continua a depositarsi nel mio organismo – non solo nei reni, ma anche nelle arterie e nelle ossa – al punto che non riuscivo più a camminare”.
Nell'ottobre 2010 il nuovo trapianto, eseguito alle Molinette di Torino, dai professori Giuseppe Paolo Segoloni e Mauro Salizzoni. Le difficoltà, tuttavia, non sono ancora terminate: il corpo di Antonino impiega ben tre anni per liberarsi completamente dall'ossalato, e lui continua a soffrire di sintomi come dolore e bruciore. “In quel periodo - ricorda Antonino - l'associazione Cilla, una Onlus che si dedica all'accoglienza dei malati, mi ha ospitato a Torino per una cifra simbolica e ha aiutato molto sia me che la mia famiglia”.
Oggi, però, il peggio è passato e Antonino può finalmente condurre una vita normale: “Lavoro da casa, seguo la terapia antirigetto, che dovrò portare avanti per tutta la vita, prendo alcuni integratori, ma soprattutto non manifesto più alcun sintomo e non ho più dovuto affrontare i calcoli renali, un incubo che ho già vissuto 15-20 volte: tanti sono stati i trattamenti di litotripsia ai quali mi sono dovuto sottoporre nel corso degli anni”.
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