Cuore

Secondo gli esperti, la terapia con statine e inibitori del PCSK9 deve proseguire anche in terapia intensiva per COVID-19

Helsinki (FINLANDIA) – I primi dati provenienti dalla città cinese di Wuhan mostrano che i pazienti positivi al Coronavirus sono in genere maschi, di età compresa tra 40 e 60 anni, e circa un terzo presenta comorbilità. Inoltre, su 138 pazienti COVID-19 ricoverati in ospedale a Wuhan e trattati in un'unità di terapia intensiva, il 25% presentava malattie cardiovascolari e il 58% ipertensione, mentre fra quelli non trattati in terapia intensiva le percentuali erano del 10% e del 22%. Parte da questi dati la lettera inviata al direttore del Journal of Internal Medicine da tre esperti di ipercolesterolemia familiare: i finlandesi Alpo Vuorio e Petri T. Kovanen e l'australiano Gerald F. Watts. Sulla base di queste evidenze, i ricercatori credono che una predisposizione alle complicanze cardiache acute, correlata alla sottostante malattia cardiovascolare aterosclerotica, possa aumentare significativamente la gravità del COVID-19 nei soggetti sensibili.

L'ipercolesterolemia familiare (FH) è una malattia ereditaria con una prevalenza stimata di 1 caso su 250 persone nella sua forma eterozigote, la meno grave. È caratterizzata da un aumento permanente, da due a tre volte, della concentrazione plasmatica di colesterolo LDL, che se non trattata induce una malattia cardiovascolare aterosclerotica prematura e un rischio notevolmente aumentato di eventi coronarici acuti nei pazienti di mezza età. I dati epidemiologici di Wuhan suggeriscono che i pazienti con FH e COVID-19 possano essere a maggior rischio di complicanze cardiache rispetto alla popolazione generale, in particolare se la malattia genetica sottostante non è stata rilevata. La preoccupazione è giustificata, perché un'alta percentuale di pazienti con COVID-19 gravemente malati ha meno di 50 anni. Al di sotto di questa età, i medici in genere trascurano la possibilità di un aumentato rischio di malattia coronarica prematura, anche tra le persone con ipercolesterolemia familiare.

“Nei pazienti con FH è possibile che esistano varianti del recettore LDL che modulano la risposta immunitaria a lungo termine al COVID-19, come è stato dimostrato per l'infezione da epatite C. Nel complesso, nelle malattie infettive, vi è una crescente consapevolezza del coinvolgimento dei fattori genetici dell'ospite”, scrivono Vuorio, Watts e Kovanen. “L’infezione da Coronavirus può indurre anomalie a lungo termine nel metabolismo dei lipidi e del glucosio, con chiare implicazioni avverse per i pazienti con FH, nei quali, inoltre, l'infezione cronica da Chlamydia pneumoniae è associata ad un aumentato rischio di malattia coronarica. Una scoperta importante è l'associazione tra gli anticorpi del citomegalovirus e l'aterosclerosi, che nell'Atherosclerosis Risk in Communities Study è stata osservata in soggetti con alti livelli di lipoproteina(a) e fibrinogeno. Questa associazione si può applicare anche ai pazienti con FH che hanno, in media, livelli più elevati di lipoproteina(a) rispetto alla popolazione generale, e possono quindi avere un rischio più elevato di eventi aterotrombotici mentre sono colpiti dal COVID-19, e anche dopo il recupero”, proseguono gli esperti.

“Ci sono diverse considerazioni importanti nel trattamento di un paziente con FH affetto da COVID-19, inclusa la necessità di intensificare il trattamento per ridurre il colesterolo a causa della potenziale disfunzione endoteliale coronarica causata dall'infezione virale. Il trattamento con statine – la farmacoterapia primaria per abbassare il colesterolo LDL nei pazienti con FH – può proteggere dalla disfunzione endoteliale e da un evento coronarico acuto, e pertanto non deve essere sospeso nei pazienti sottoposti a terapia intensiva, in particolare quelli con malattia coronarica accertata. Poiché gli inibitori del PCSK9 riducono efficacemente il colesterolo LDL e prevengono gli eventi coronarici acuti nell'FH, anche il loro uso deve proseguire. Questi farmaci hanno un buon profilo di sicurezza, tuttavia l'esperienza del loro uso in pazienti con COVID-19 gravemente malati è limitata e degna di valutazione”, sottolineano i ricercatori.

Sembra quindi che un paziente con ipercolesterolemia familiare possa essere più soggetto a complicanze acute da COVID-19 rispetto a una persona sana di età simile. L'associazione inglese HEART UK, nelle informazioni sul COVID-19 recentemente diffuse, ha dichiarato che i pazienti con FH e con diagnosi di malattie cardiache devono essere considerati ad alto rischio, così come gli anziani con FH e i pazienti con FH e comorbidità quali ipertensione, malattie renali croniche o diabete. Simili preoccupazioni sono state sollevate dall'americana FH Foundation. Infine, è probabile che i pazienti con FH abbiano un aumentato rischio a lungo termine di eventi aterotrombotici in seguito a COVID-19, come precedentemente osservato nei pazienti FH con infezione da Chlamydia pneumoniae, nonché nella popolazione generale con influenza o infezione da citomegalovirus. Pertanto, in un paziente FH con Coronavirus, la farmacoterapia per l'ipercolesterolemia grave non deve essere interrotta durante l'infezione, e anzi, a causa del possibile aumentato rischio di malattia cardiovascolare aterosclerotica, potrebbe persino essere intensificata dopo la guarigione da COVID-19.

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