Sindrome da attivazione di PI3K-delta - diagnosi e terapia

La Prof.ssa Caterina Cancrini (Bambino Gesù) illustra le potenzialità dei nuovi farmaci inibitori della PI3K-delta nel trattamento della patologia

Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha comportato significativi progressi nella comprensione della patogenesi e quindi del trattamento della sindrome da attivazione di PI3K-delta (APDS), una rara immunodeficienza primaria, caratterizzata da un’aumentata suscettibilità alle infezioni e manifestazioni di immunodisregolazione. La gestione dell’APDS si basava, come per altre immunodeficienze, su un approccio terapeutico tradizionale volto a contenere le infezioni e a modulare l’eccessiva attivazione del sistema immunitario. Da quando sono state descritte le varianti geniche responsabili di questa sindrome e ne è stata chiarita la patogenesi, si è aperta la possibilità di utilizzare terapie più mirate.

In questa intervista, la Prof.ssa Caterina Cancrini, responsabile dell’Unità di Ricerca Immunodeficienze Primitive dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, ci aiuterà a comprendere meglio le attuali opzioni terapeutiche per l’APDS, approfondendo, tra l’altro, i risultati di uno studio recentemente pubblicato sul Journal of Clinical Immunology e riassumendo i alcuni degli studi recenti riportati in una review pubblicata sull’Italian Journal of Pediatric Allergy and Immunology.

Professoressa Cancrini, sulla base della sua esperienza, quali sono state finora le principali strategie terapeutiche per la gestione dell’APDS e quali limiti presentano?

Il trattamento di questi pazienti consisteva nella profilassi e terapia delle infezioni basata sull’utilizzo di immunoglobuline, antibiotici e immunosoppressori/immunomodulatori (Immunoglobuline ad alte dosi, steroidi, rapamicina, anticorpi monoclonali, come anti-CD20). In alcuni casi il trapianto di cellule staminali ematopoietiche rappresentava l’unica opzione curativa. Da quando sono state descritte le varianti geniche responsabili della sindrome e ne è stata chiarita la patogenesi, si è aperta la possibilità di utilizzare terapie più mirate, in aggiunta alla rapamicina già precedentemente in uso, come gli inibitori specifici della PI3K-delta che agiscono direttamente sulla via di segnale alterata. Tuttavia, la sperimentazione al momento ha dimostrato efficacia e sicurezza per un numero di pazienti e un tempo limitati. Bisognerà quindi valutarne la tollerabilità e l’efficacia a lungo termine, tra cui prevenire il rischio di effetti collaterali, e il rischio di malattia linfoproliferativa maligna.

Negli ultimi anni sono stati sviluppati farmaci inibitori della via PI3K-delta. Qual è il loro meccanismo d’azione e in che modo stanno cambiando il trattamento dell’APDS?

L’APDS è causata da varianti genetiche che determinano un’iperattivazione della via PI3K-delta, alterando diversi meccanismi delle cellule immunitarie. Gli inibitori specifici della PI3K-delta bloccano in maniera specifica questa iperattivazione anomala, migliorando il controllo della malattia. Questi farmaci agiscono inibendo in maniera specifica la PI3K-delta, una proteina chinasi iperattivata in questa condizione a causa di mutazioni nei geni PI3KCD, PIK3R1. Questa chinasi svolge un ruolo chiave nella trasduzione del segnale dalla superficie dei linfociti comportandone una differenziazione, attivazione e proliferazione alterate. Questi farmaci, assunti quotidianamente per via orale, oltre a migliorare le condizioni cliniche e la qualità di vita del paziente permettono di ridurre lo sviluppo di comorbidità, riducendo la necessità di eseguire altre terapie, antibiotiche e immunomodulanti, rendendo inoltre, ove possibile, più semplice l’eventuale percorso trapiantologico. Diversi trial clinici, tra cui uno presso l’Unità di Immunologia del nostro ospedale, hanno dimostrato che questa classe di farmaci è in grado di ridurre le manifestazioni di immunodisregolazione e la ricorrenza di infezioni migliorando la qualità di vita dei pazienti con un buon profilo di sicurezza.

Una review recentemente pubblicata sull’Italian Journal of Pediatric Allergy and Immunology si è occupata di analizzare i più recenti studi sul trattamento dell’APDS, analizzando i nuovi dati sulle terapie mirate. Quali sono i risultati più rilevanti emersi e quale impatto potrebbero avere sulla gestione dei pazienti?

Uno dei primi farmaci utilizzati per il trattamento dell’APDS è la rapamicina, un inibitore di mTOR, una delle pathway iperattivate a valle della PI3K-delta. I dati del registro europeo (ESID APDS registry) hanno mostrato una buona sicurezza ed efficacia nel trattamento della linfoproliferazione, ma uno scarso controllo delle altre manifestazioni come citopenia ed enteropatia. Inoltre, un paziente ha sviluppato linfoma durante il trattamento (Maccari 2018, 2023). Recenti studi sui nuovi inibitori della PI3K-delta hanno dimostrato una buona efficacia sulle manifestazioni di immunodisregolazione, in particolare sulla linfoproliferazione ma anche sulle altre manifestazioni come citopenia ed enteropatia. Gli studi hanno anche evidenziato una riduzione della frequenza delle infezioni e un miglioramento degli esami immunologici, consentendo in alcuni pazienti addirittura la sospensione della terapia con Immunoglobuline. Infine gli studi hanno dimostrato, ad oggi, un buon profilo di sicurezza. I dati più promettenti vengono riportati con utilizzo del leniolisib in un primo trial su 31 pazienti adulti con un’osservazione breve a 12 settimane (Rao, 2017) e confermati successivamente con un follow-up di maggiore durata (Rao, 2024). Recentemente è stata dimostrata l’efficacia di questo trattamento anche in ragazzi di più di 12 anni (Rao, 2025). Nei due studi in circa il 37% dei pazienti è stato possibile ridurre il trattamento con immunoglobuline e in sei interromperlo. Nei prossimi anni sarà possibile valutare se questi farmaci possano rappresentare una strategia terapeutica efficace e sicura anche a lungo termine. Per quanto riguarda la sicurezza deve essere però menzionato un lavoro del 2017 (Compagno et al., 2017) in cui è stato dimostrato in vitro come alcuni inibitori di PI3K (idelalisib e duvelisib) utilizzati come terapia in altre condizioni, possano favorire, attraverso una maggiore attività della citidina deaminasi indotta dall’attivazione (AID), un’instabilità genomica dovuta a un aumento di mutazione somatiche e/o traslocazione cromosomica nei loci delle catene pesanti delle immunoglobuline nei linfociti B. L’aumentata attività dell’AID potrebbe predisporre a un rischio maggiore di mutazioni oncogeniche o traslocazioni.

Quali sono le principali sfide nell’accesso alle nuove terapie per i pazienti con APDS, sia in termini di disponibilità che di sostenibilità nel lungo termine?

Attualmente, il leniolisib è stato approvato dalla FDA (Food and Drug Administration) e attende il via libera da parte di EMA (Agenzia Europea per i Medicinali) e AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) per la sua commercializzazione in Europa. I pazienti fino a ora trattati all’interno dei trial clinici e in expanded access, o con l’approvazione AIFA (studio compassionevole), hanno mostrato un miglioramento dei sintomi e della qualità di vita senza effetti collaterali. Al momento il farmaco è prescrivibile in uso compassionevole o expanded access e può essere prescritto solo dopo approvazione del comitato etico. Come anticipato, nella maggior parte dei casi l’utilizzo di questo farmaco sembra garantire, mediante la somministrazione di due semplici compresse al giorno, il raggiungimento del controllo dei sintomi e un miglioramento della funzionalità del sistema immunitario e della qualità di vita dei pazienti. Questi risultati promettenti necessitano comunque di un attento e duraturo monitoraggio, per valutare sicurezza ed efficacia di questa terapia come un trattamento a lungo termine o come terapia “ponte” prima di procedere al trapianto ove possibile.

Guardando al futuro, quali ulteriori sviluppi possiamo aspettarci nella ricerca e nel trattamento dell’APDS? Ci sono nuove strategie terapeutiche all’orizzonte?

I risultati ottenuti con gli inibitori della PI3K-delta sono estremamente promettenti, ma è fondamentale monitorare nel lungo periodo sicurezza ed efficacia di questi farmaci. Come già accennato, sarà importante stabilire se il leniolisib possa essere considerato un trattamento a lungo termine o se debba essere usato come terapia “ponte” prima di un eventuale trapianto. Inoltre, la ricerca prosegue nella direzione di nuove terapie mirate, con l’obiettivo di migliorare ulteriormente la gestione della malattia e offrire ai pazienti opzioni sempre più efficaci e sicure. Una sfida importante è rappresentata dalla necessità di lavorare all’interno della comunità medico-scientifica per velocizzare la diagnosi al fine di trattare tempestivamente e nel modo adeguato i pazienti per ridurre lo sviluppo di complicanze. Gli studi consentiranno di definire il corretto timing per l’inizio e la durata della terapia. Senza dubbio, è necessario identificare biomarker attendibili e riproducibili che consentano una corretta stratificazione prognostica, di predire lo sviluppo delle varie complicanze e che siano utili al monitoraggio dell’efficacia delle terapie. Infine sono in corso studi, ancora pre-clinici, per lo sviluppo di una terapia genica che possa sostituire il trapianto, ma saranno necessari ancora molti anni affinché questa strategia si dimostri efficace e sicura.

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