Intervista-video al Prof. Marco Paulli, Direttore della S.C. di Anatomia Patologica della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia
Ben più che semplicemente rara, la neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche (BPDCN) è una condizione sfuggente, che ha cambiato più volte collocazione nelle classificazioni degli organismi medici nazionali ed internazionali, essendo stata inizialmente accostata a certe forme di leucemia per poi trovare un suo preciso posto nell’ordine delle neoplasie a cellule dendritiche. La BPDCN unisce alla rarità un livello di aggressività piuttosto elevato, contro cui, tuttavia, oggi esiste la possibilità di un trattamento mirato. La diagnosi deve dunque essere tempestiva e precisa, come spiega il prof. Marco Paulli, Ordinario di Anatomia Patologica presso il Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Pavia e Direttore della S.C. di Anatomia Patologica della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia (clicca qui o sull’immagine dell’articolo per guardare la video-intervista).
“Descritta a partire dal 1994, la BPDCN è una patologia ematologica in cui si ritrovano componenti cellulari immature con un processo differenziativo diretto verso la linea dendritica plasmacitoide”, afferma Paulli. “È contraddistinta da lesioni a localizzazione cutanea ma tende a disseminare a tutto l’organismo con un andamento aggressivo”. Il termine “neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche” è stato utilizzato solo a partire dal 2008, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha rivisto la classificazione della malattia chiarendone l’origine, pertanto ancora poco si conosce dei fattori di rischio o delle cause genetiche che possono predisporne l’insorgenza.
“Come accade per altre condizioni rare, la diagnosi è il prodotto di un lavoro di squadra tra vari specialisti, tra cui il dermatologo, l’ematologo e l’anatomo-patologo”, continua Paulli. “Quest’ultima figura è particolarmente importante, dal momento che ha il compito di distinguere la BPDCN da possibili patologie simili, come il linfoma cutaneo a cellule T e il sarcoma di Kaposi, analizzando il materiale bioptico con una serie di indagini basate su pannelli specifici per la patologia”. Infatti, la diagnosi di BPDCN ha inizio con lo studio delle lesioni sulla cute e con la caratterizzazione fenotipica in citofluorimetria, ma la conferma dell’ipotesi di partenza avviene mediante analisi di immunoistochimica effettuate sui campioni di tessuto prelevati dal paziente.
“Oltre alle lesioni cutanee, la BPDCN ha localizzazioni che interessano il sangue periferico e il midollo”, conclude Paulli. “Inoltre, in alcuni casi la malattia può estendersi anche al sistema nervoso centrale. Per questo motivo, la diagnosi deve essere veloce, per evitare gravi ritardi nella gestione terapeutica del paziente”.
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