Dottoressa Alessandra Tucci

La dr.ssa Alessandra Tucci: “I sintomi della malattia e l’impatto sulla qualità di vita rendono necessario il supporto di diverse figure professionali”

Brescia – La peculiarità del linfoma cutaneo a cellule T (CTCL) è che presenta frequenti fasi alterne di remissione e riesacerbazione, con un andamento complessivamente cronico e con un impatto spesso molto pesante sulla qualità di vita. Il prurito, talora incoercibile, e la visibile trasformazione dell’aspetto esteriore della persona, generano l’esigenza di una figura professionale di riferimento in cui il paziente possa trovare un supporto nelle diverse fasi della malattia. Da questa esigenza è nato presso gli Spedali Civili di Brescia un ambulatorio condiviso da Ematologia e Dermatologia, in cui due professionisti mettono a disposizione la loro specifica competenza per la gestione complessiva del paziente affetto da CTCL, dal momento della diagnosi a quello del trattamento, fino al periodico follow up. Questi esperti sono le dottoresse Alessandra Tucci, Responsabile della Struttura Semplice a Valenza Dipartimentale “SSVD Ematologia – Presidi Periferici”, e Raffaella Sala, dell'Unità Operativa di Dermatologia (clicca qui per leggere l’intervista alla dott.ssa Sala).

L’ambulatorio, istituito ormai da circa 20 anni, è andato via via ampliando l’attività, adattandosi alle sempre più numerose richieste. Attualmente i due specialisti dedicati si incontrano da due a quattro pomeriggi al mese per visitare ogni volta circa una decina circa di pazienti e hanno a disposizione un front office gestito da un’infermiera case manager, per favorire il contatto dei propri pazienti che a domicilio presentino dei problemi o debbano inviare l’esito di esami ematochimici o strumentali richiesti nel corso della visita.

“Per quanto riguarda le opzioni di trattamento, negli stadi precoci della malattia, devono essere utilizzate terapie che agiscono unicamente a livello cutaneo, (“skin-directed therapy”). In particolare la fototerapia con UVA-UVB o PUVA (fototerapia UVA in associazione con farmaci foto sensibilizzanti) viene ampiamente utilizzata, ove logisticamente praticabile”, spiega la dr.ssa Tucci. “La radioterapia può essere una valida opzione in presenza di lesioni localizzate, mentre in stadi più avanzati e con lesioni diffuse può risultare efficace una panirradiazione corporea (TSEB: total skin electron beam). Tuttavia questa opportunità è disponibile solo in pochi centri in Italia”.

In caso di fallimento o intolleranza a queste terapie, sempre negli stadi precoci, sono disponibili trattamenti sistemici a base di retinoidi, derivati della vitamina A (bexarotene) o terapie immunomodulanti quali l’interferone, che possono essere utilizzate anche in combinazione o in associazione alla fototerapia. “Il bexarotene è un farmaco ben tollerato, ma induce un ipotiroidismo centrale che necessita di terapia ormonale sostitutiva e aumenta i trigliceridi nel sangue, talora con livelli difficili da contenere”, prosegue la dr.ssa Tucci. “L’interferone può causare malessere generale e depressione del tono dell’umore, soprattutto nelle prime settimane di terapia. In caso di intolleranza a questi trattamenti, e soprattutto in pazienti di età più avanzata, si possono utilizzare chemioterapici orali quali metotrexato o, più raramente, ciclofosfamide o clorambucile. I corticosteroidi possono essere efficaci per brevi periodi, in particolare in caso di riesacerbazione della sintomatologia sistemica o cutanea, ma dovrebbe essere evitata la somministrazione per periodi di tempo troppo lunghi, per i numerosi e noti effetti collaterali a lungo termine”.

Negli stadi avanzati della malattia è indicato l’utilizzo di trattamenti chemioterapici. In monoterapia, i farmaci che hanno dimostrato la maggiore efficacia sono la gemcitabina o la doxorubicina liposomiale pegilata (quest’ultima ad uso non autorizzato in Italia per questa indicazione), mentre la polichemioterapia più utilizzata è lo schema CHOP. “Tuttavia l’efficacia di questi trattamenti è limitata nel tempo, con durata mediana di risposta di circa 6 mesi. Pertanto, nei pazienti più giovani, con un buon performance status e fattori prognostici sfavorevoli, è auspicabile orientarsi verso un programma di trapianto allogenico, l’unica terapia oggi in grado di eradicare la malattia. I regimi di condizionamento a intensità ridotta hanno dimostrato il miglior rapporto rischio-beneficio in questa categoria di pazienti”, sottolinea l'ematologa.

Recentemente, per il linfoma cutaneo a cellule T, stanno emergendo altri farmaci innovativi, come alcuni inibitori delle istone deacetilasi (vorinostat, romidepsina, belinostat) o l’anticorpo monoclonale anti-CD30 brentuximab, approvato dall'Agenzia Europea per i Medicinali per i casi con espressione dello stesso antigene CD30. Un altro anticorpo monoclonale, il mogamulizumab, è stato approvato in Europa lo scorso anno e rappresenta il primo farmaco biologico anti-CCR4 indicato per le due forme di malattia note come sindrome di Sezary e micosi fungoide.

Un cenno a parte merita proprio la sindrome di Sezary: in questo tipo di patologia la fotoaferesi costituisce il trattamento di prima linea, mentre nelle linee successive possono essere utilizzate tutte le opzioni precedentemente elencate”, conclude la dr.ssa Tucci. “In alcuni pazienti è risultato efficace l’utilizzo di alemtuzumab, un anticorpo monoclonale anti-CD52 che, sebbene non sia più commercializzato per questa indicazione, può essere disponibile per uso compassionevole”.

Leggi anche: "Linfoma cutaneo a cellule T: come distinguerlo da una semplice dermatite".

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