Uno studio clinico internazionale, coordinato dal Centro di emato-oncologia pediatrica della Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma (MBBM), e che ha coinvolto 78 centri, ha dimostrato che la somministrazione dell’inibitore di crescita tumorale imatinib sin dalle prime fasi di trattamento con chemioterapia permette la remissione della malattia nella totalità dei pazienti affetti da leucemia linfoblastica acuta Philadelphia positiva (LLA Ph+). Lo studio, sostenuto da finanziamenti pubblici e da enti non profit, è stato pubblicato sulla rivista scientifica Lancet Haematology.

Le leucemie sono il tumore più frequente in età pediatrica, e in Italia si diagnosticano circa 500 casi all’anno. Nell’80% dei casi si tratta di leucemie linfoblastiche acute (LLA) e, di queste, circa il 4% è caratterizzato da un’anomalia del cromosoma 22, chiamato “Philadelphia”. Questo tipo di leucemia viene definita leucemia linfoblastica acuta Philadelphia positiva (LLA Ph+).

Sino a pochi anni fa, il trattamento prevedeva il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (non sempre possibile perché dipendente dalla disponibilità di un donatore compatibile) che, pur portando alla guarigione due pazienti su tre, comporta un rischio di complicanze a breve e lungo termine, anche gravi.

Lo studio recentemente pubblicato dimostra che il trapianto può essere evitato nella maggior parte dei pazienti mantenendo una buona prognosi della malattia (la sopravvivenza si attesta intorno al 70% a cinque anni). Ciò nonostante, la recidiva è ancora possibile in una ridotta percentuale di pazienti (26%), per i quali si ricorre ad un secondo ciclo di chemioterapia seguito da trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Il trial clinico in questione ha coinvolto 155 pazienti, di età compresa tra 1 e 18 anni, e si è svolto tra gennaio 2010 e dicembre 2014. I risultati ottenuti evidenziano la necessità di proseguire in questa direzione per verificare nuove strategie terapeutiche ancora più efficaci, in modo da ridurre ulteriormente l’ipotesi di trapianto.

“Data la rarità di questa forma di leucemia, solo l’impegno comune di studi cooperativi internazionali possono produrre le evidenze scientifiche necessarie per il miglioramento delle conoscenze della malattia e del suo trattamento”, commenta Andrea Biondi, direttore della clinica pediatrica dell’Università di Milano Bicocca, direttore scientifico della Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma e primo autore della pubblicazione. “Il nostro è uno studio accademico internazionale su questo particolare tipo di leucemia, che ha coinvolto, dal 2010 ad oggi, undici gruppi di studio dislocati in diverse parti del mondo”.

Oltre a Virginie Gandemer, del Centro ospedaliero-universitario Hopital Sud di Rennes in Francia, primo autore insieme al prof. Andrea Biondi, il gruppo di studio è composto da ricercatori europei (provenienti da Francia, Germania, Italia, Svezia, Olanda, Regno Unito, Repubblica Ceca) ed extra-europei (da Cile e Hong Kong). Il team monzese è composto da Andrea Biondi, Valentino Conter e Veronica Leoni (pediatri emato-oncologi), Giovanni Cazzaniga (biologo, direttore del Laboratorio Tettamanti), Paola De Lorenzo (biostatistico) e Maria Grazia Valsecchi (prof. di statistica medica dell’Università di Milano Bicocca, supervisore del Centro di Statistica Tettamanti).

Fino all’inizio degli anni 2000, la LLA Philadelphia positiva veniva trattata con chemioterapia intensiva; la prognosi era molto grave, per cui veniva raccomandato il trapianto di cellule staminali ematopoietiche per tutti i pazienti per i quali fosse disponibile un donatore idoneo. Con questa strategia si riusciva a guarire globalmente solo un terzo dei pazienti. Negli anni ’90 si scoprì che l’anomalia genetica del cromosoma Philadelphia determina la produzione di una proteina (tirosin-chinasi), essenziale per la proliferazione delle cellule leucemiche Philadelphia positive. All’inizio degli anni 2000, un nuovo farmaco chiamato imatinib, una molecola che blocca la tirosin-chinasi e favorisce la morte delle cellule leucemiche, incominciò ad essere somministrato in associazione alla chemioterapia, potenziandone l’efficacia.

Nel 2004 il gruppo europeo per lo studio della LLA Ph+ in età pediatrica (EsPhALL), coordinato dal Centro di emato-oncologia pediatrica della Fondazione MBBM, diede vita allo studio EsPhALL2004, in cui bambini venivano trattati con chemioterapia e imatinib e, per i pazienti che avevano il donatore (80%), con il trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Con questa strategia terapeutica, sono guariti circa i due terzi dei pazienti. Oggi, grazie al nuovo studio EsPhALL2010, si è giunti alla remissione della malattia nella totalità dei pazienti, e una rilevante percentuale di essi è guarita senza fare ricorso al trapianto.

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