Sindrome FOXG1: l'associazione italiana

Intervista al Generale Luca Steffensen, presidente dell’Associazione FOXG1 Italia OdV, che fa parte dell’Alleanza Malattie Rare

La sindrome FOXG1 è una malattia genetica rara e molto complessa che colpisce lo sviluppo del cervello sin dalla nascita. I bambini e le bambine che ne sono affetti presentano malformazioni cerebrali che possono causare diversi problemi, come una testa più piccola del normale (microcefalia), difficoltà nella comunicazione tra le due metà del cervello (agenesia del corpo calloso) e un posizionamento non corretto dei neuroni sulla corteccia celebrale. Sono alterazioni che si traducono in una disabilità cognitiva grave, spesso accompagnata da difficoltà motorie: molti bambini non riescono a camminare, a stare seduti da soli o a controllare i movimenti, che possono essere involontari e imprevedibili. Oltre a questo, si possono manifestare crisi epilettiche frequenti, disturbi del sonno, pianto inconsolabile, difficoltà a deglutire, reflusso e, in alcuni casi, anche comportamenti simili a quelli dello spettro autistico.

In passato si pensava che questa condizione fosse una variante della sindrome di Rett, ma poi si è scoperto che il problema sta in un pezzetto mancante del DNA, nel cromosoma 14, dove si trova il gene FOXG1. È importante sapere che non è una malattia ereditaria: le mutazioni avvengono spontaneamente e non sono trasmesse dai genitori. Dal 2009 la FOXG1 è ufficialmente riconosciuta tra le malattie genetiche rare.

COM’È LA VITA DI CHI HA LA SINDROME FOXG1

La vita di un bambino o una bambina con questa sindrome è complessa: non sono autonomi, hanno bisogno di assistenza continua”, ci spiega il Generale Luca Steffensen, presidente dell’Associazione FOXG1 Italia OdV. “Spesso non riescono a parlare, né a camminare o a mangiare da soli. Molti sono alimentati con cibi frullati o tramite PEG. Le crisi epilettiche sono frequenti e in alcuni casi richiedono il ricovero in ospedale. Anche il sonno è irregolare e nei primi mesi possono piangere per ore, senza una causa apparente. Tutto questo, inevitabilmente, ricade sulla famiglia. Il più delle volte uno dei due genitori deve lasciare il lavoro per prendersi cura del figlio a tempo pieno. Ciò comporta non solo grande stanchezza fisica ed emotiva, ma anche difficoltà economiche. E c’è un altro aspetto che pesa molto: non si conosce ancora l’aspettativa di vita di chi ha la sindrome FOXG1, perché i casi sono ancora pochi e recenti. L’incertezza è un peso enorme per chi ogni giorno lotta con questa realtà”.

L’ASSOCIAZIONE

FOXG1 Italia ODV nasce nell’ottobre del 2024, dall’esigenza di noi genitori di riunirci sotto un unico 'tetto'. Parliamo di famiglie che hanno nel proprio nucleo un bambino con questa rara sindrome genetica”, racconta Steffensen. “Con mia moglie e altre famiglie abbiamo quindi deciso di fondare l’Associazione, per unire le forze e dare un punto di riferimento. In Italia i casi noti sono pochissimi, direi 43, forse 45 al massimo. Quindi è una malattia davvero rara. La regione con il numero più alto di diagnosi è la Sicilia, che conta sei casi. In Sardegna ce n’è uno solo, mentre in Puglia, dove viviamo noi, siamo tre famiglie. Gli obiettivi principali sono due. Il primo è sostenere, per quanto possibile, la ricerca scientifica. Ovviamente con le risorse limitate che abbiamo, perché sappiamo bene che la ricerca su patologie così rare richiede fondi ingenti, spesso difficili da reperire. Le aziende farmaceutiche, purtroppo, tendono a non investire su una sindrome con meno di 50 casi noti in tutto il Paese. Per questo vogliamo contribuire come possiamo, con raccolte fondi, eventi, e iniziative volte a sostenere chi lavora su questo fronte.”

Il secondo obiettivo è supportare concretamente le famiglie, soprattutto quelle che si trovano a dover affrontare viaggi per accedere a cure o a visite specialistiche. Parliamo di ospedali pediatrici di riferimento come il Gaslini di Genova, il Meyer di Firenze, il Bambino Gesù di Roma. Non tutti possono permettersi il soggiorno in città così costose, anche solo per una settimana, ed è lì che entriamo in gioco noi, offrendo un aiuto pratico e immediato. In più, vogliamo far conoscere questa sindrome. La FOXG1 è ancora poco nota, anche tra gli specialisti. Le faccio un esempio: sono appena rientrato dalla convention nazionale di Telethon, che si è tenuta a Rimini il 17 e 18 marzo. Era un incontro con altre associazioni che si occupano di malattie rare e posso dire che 9 persone su 10 non avevano mai sentito parlare della FOXG1. Per questo ci stiamo muovendo anche sul piano della divulgazione: vogliamo informare, sensibilizzare, coinvolgere i genetisti e i medici, promuovere incontri, conferenze, occasioni di confronto. Per creare una rete, far conoscere la sindrome e diventare un punto di riferimento per chi, come noi, si è trovato improvvisamente in un percorso tanto complesso quanto poco battuto”.

DIAGNOSI: UN PERCORSO COMPLESSO

“Parliamo di una malattia che è stata identificata solo di recente, nel 2009. Capita spesso che i pediatri, di fronte a bambini con determinate caratteristiche, tendano inizialmente ad associare i sintomi alla sindrome di Rett, che però è una patologia regressiva”, prosegue Steffensen. “I bimbi, nei primi due anni di vita, compiono normalmente tutte le tappe dello sviluppo, poi iniziano a perdere progressivamente le abilità acquisite. Invece, nei casi di FOXG1, i bambini nascono già con deficit importanti. La diagnosi richiede esami genetici molto specifici. In genere si effettua un'analisi chiamata CGH array, un test che mappa l’intero genoma per individuare eventuali delezioni genetiche. Non tutti gli ospedali pediatrici sono attrezzati per farlo: ci si rivolge ai centri più grandi o a laboratori di ricerca specializzati. Noi, per esempio, ci siamo rivolti a un centro privato del Nord Italia e la diagnosi è arrivata dopo circa quattro mesi”.

TRATTAMENTI

Non esiste ancora un protocollo ufficiale e riconosciuto a livello nazionale. Le ASL spesso non conoscono questa malattia, quindi non c’è un percorso codificato. Ci si affida all’esperienza delle singole famiglie, al passaparola tra genitori e ai pochi centri che hanno già seguito casi simili. Ad ogni modo, ci sono trattamenti farmacologici che aiutano a gestire i sintomi come il reflusso gastroesofageo ma, in particolare, le crisi epilettiche, piuttosto frequenti e che possono richiedere il ricovero ospedaliero, anche per periodi prolungati. E poi ci sono i percorsi riabilitativi – logopedia, fisioterapia, terapia occupazionale, musicoterapia – che possono fare molto per migliorare la qualità di vita, anche se ogni bambino è un caso a sé. Il problema è che queste terapie non sempre sono offerte dalle ASL locali. Anzi, nella maggior parte dei casi non sono coperte dal sistema sanitario. E allora tocca alle famiglie, che spesso devono affrontare spese importanti per garantire ai propri figli un percorso riabilitativo completo, coinvolgendo specialisti privati che vengono a casa”.

COMITATO SCIENTIFICO E CLINICI DI RIFERIMENTO PER LE FAMIGLIE

“Fin dall’inizio abbiamo creato un comitato tecnico-scientifico, che è nato insieme all’Associazione. Ne fanno parte diversi professionisti: genetisti, gastroenterologi, neurologi, anestesisti, dentisti, perché molti di questi bambini soffrono di bruxismo, ma anche fisioterapisti e logopedisti”, spiega il presidente di FOXG1 Italia. “Naturalmente, visto che le famiglie sono sparse in tutta Italia, non possiamo contare su un team fisicamente presente ovunque. Questi specialisti, però, hanno dato la loro disponibilità per offrire una consulenza telefonica, un consiglio, un supporto a distanza ogni volta che ce ne sia bisogno. È una rete di aiuto importante, che può davvero fare la differenza, soprattutto quando ci si sente soli o disorientati”.

NECESSITÀ DISATTESE

“A mio avviso è necessaria una presa in carico tempestiva, da parte dell’ASL locale, subito dopo la diagnosi. Servirebbe un supporto qualificato sin dall’inizio, con un team di specialisti in grado di affrontare subito le criticità. Perché prima si interviene, meglio è. È molto diverso lavorare su un bambino di sei o sette anni rispetto a uno di un anno e mezzo o due. Intervenire precocemente può fare davvero la differenza. Quello che manca oggi, secondo me, è proprio questo: una rete strutturata a livello nazionale per le malattie genetiche rare. Sono tante, tantissime. A Rimini ho ascoltato storie legate a sindromi con nomi che non avevo mai sentito prima. E ogni volta pensavo: “ma quante ce ne sono?”. Proprio per questo motivo, sarebbe fondamentale che, almeno a livello di capoluogo di regione, esistesse un team multidisciplinare pronto a prendere in carico la famiglia. Invece, succede spesso il contrario: le famiglie sono lasciate sole, costrette ad arrangiarsi. Noi stessi siamo andati all’estero per trovare percorsi riabilitativi adeguati. Siamo stati in Israele, in Slovacchia, in Germania. Ma ovviamente non tutte le famiglie possono permetterselo. Faccio un esempio personale: nostro figlio Francesco Paolo è stato ricoverato per la prima volta nel 2013 al Bambino Gesù. Aveva un anno. E lì, in quell’ospedale che è un’eccellenza a livello nazionale, non conoscevano ancora la sindrome FOXG1. Siamo stati noi a spiegare ai medici cos’era. Oggi naturalmente è diverso, ci sono stati altri casi, e il nome della sindrome è conosciuto. Ma all’epoca siamo stati quasi dei pionieri. E questo, secondo me, dà l’idea di quanto lavoro ci sia ancora da fare per garantire una diagnosi tempestiva e una presa in carico efficace”.

RICERCA SÌ, MA ALL’ESTERO

“Qualcosa si sta muovendo ed è motivo di speranza. Come associazione siamo affiliati alla FOXG1 Research Foundation, una realtà americana attiva da diversi anni in Nord America. L’affiliazione non è solo simbolica: ci permette di seguire da vicino i progetti di ricerca più promettenti, come quello in corso presso L'Università di Buffalo. Qui, una ricercatrice di origine coreana che, tra l’altro, è anche la madre di una bambina con la sindrome FOXG1, sta sperimentando una terapia genica. È una frontiera importantissima per tutte le malattie rare, probabilmente l’unica vera speranza. In pratica, si tratta di inserire nel corpo delle porzioni di DNA sano, attraverso dei vettori virali. Si prende un virus, lo si rende innocuo eliminando la parte infettiva, e gli si inserisce dentro il gene mancante o corretto. Poi lo si inocula nell’organo bersaglio, nel nostro caso, il cervello. Il virus, che normalmente diffonderebbe una malattia, in questo caso “contagia” il corpo in modo benefico, distribuendo il gene sano. È una tecnica che nel 2020 era ancora agli inizi ma oggi è già usata, ad esempio, per curare forme di cecità e ipoacusia. I primi test sono stati condotti su cavie da laboratorio e i risultati sono stati promettenti. Adesso la sperimentazione sta proseguendo su altri mammiferi, in particolare sulle scimmie. Secondo quanto ci ha riferito la ricercatrice serviranno ancora circa tre anni. Se tutto andrà bene, si potrà iniziare a parlare di sperimentazione clinica anche sugli esseri umani”.

COSA C’È IN ITALIA

C’è un secondo filone di ricerca portato avanti dall’Università di Trieste, dal professor Mallamaci, genetista e biologo che sta lavorando su un approccio molto interessante e diverso rispetto alla terapia genica classica: sta cercando di intervenire nel grembo materno. Oggi, grazie all’evoluzione delle tecniche diagnostiche, è possibile andare molto oltre l’amniocentesi tradizionale, che si faceva solo per patologie come la sindrome di Down o la spina bifida. Ora si possono individuare molte più mutazioni, anche precocemente. L’obiettivo della sua ricerca è quello di riparare il danno genetico già in gravidanza, o comunque nei primissimi mesi di vita”.

COME SOSTENERE L’ASSOCIAZIONE

L’Associazione si mantiene grazie alle donazioni e alle erogazioni liberali, che molte persone fanno con grande sensibilità. Poi c’è la campagna associativa: con 30 euro l’anno si diventa soci sostenitori. Da quest’anno, per la prima volta, potremo anche ricevere il 5x1000”, spiega Steffensen. “Infine, ci sono i regali solidali. Alcune giovani coppie, ad esempio, hanno scelto di devolvere a noi i fondi destinati alle bomboniere del matrimonio. In cambio, abbiamo realizzato dei piccoli pensieri con il nostro simbolo: una volpe. Perché “Fox” in inglese vuol dire proprio volpe ed è diventata il nostro simbolo. Tutti i nostri gadget, dalle magliette ai portachiavi, hanno questo simbolo, che ormai ci rappresenta. Confidiamo molto nella sensibilità delle persone, che in questi primi mesi di attività dell’Associazione, si sono dimostrati interessati alla grave problematica e generosi nel donare anche piccole somme che, ripeto, andranno esclusivamente a favore dei piccoli foxy e delle loro splendide famiglie”.

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