LA MALATTIA
Il Citomegalovirus (CMV) è un virus appartenente alla famiglia degli Herpesviridae. Si tratta di un agente infettivo molto comune: nei Paesi sottosviluppati il 90-100% della popolazione ne è contagiata, mentre in quelli occidentali il 60-80% degli adulti presenta anticorpi anti- Citomegalovirus nel siero. I sintomi, in età adulta e anche nell’infanzia, sono simili a quelli dell’influenza o della mononucleosi. Il virus è però particolarmente pericoloso se contratto dal feto, con una trasmissione verticale madre – figlio: in questo caso e si parla di citomegalovirus congenito.
L’infezione primaria* della madre durante i primi mesi di gravidanza rappresenta, infatti, un significativo fattore di rischio per l’ aborto spontaneo, o comunque per serie conseguenze a carico del feto.
Negli Stati Uniti l’infezione congenita da Citomegalovirus è la più comune tra le infezioni congenite, con una prevalenza dello 0,64 %. All’incirca 1 bambino su 150 nati negli Stati Uniti viene infettato, con un totale di 30.000 casi ogni anno. Quasi 8000 bambini rimangono permanentemente disabili a causa dell’infezione dal virus, con sintomi quali ritardo dello sviluppo, sordità e perdita della vista. Circa 400 neonati muoiono ogni anno per questa causa e, oltre al danno emotivo e umano, tutto ciò si traduce all’incirca in 2 bilioni di dollari di spesa sanitaria annua.
L’INFEZIONE
L’infezione materna da CMV può essere primaria o non primaria.
Le infezioni non primarie consistono nella riattivazione di un’infezione latente o reinfezioni con un nuovo ceppo del virus. Nel caso di infezione non primaria la probabilità che questa si trasferisca al feto è limitata all’1% dei casi. Diversa è la situazione in caso di infezione primaria
*L’'infezione primaria insorge quando la madre entra a contatto con il virus per la prima volta.
Questo accade in circa l’1-4% delle donne in gravidanza e in questo caso la probabilità di trasmissione del virus al feto sale fino al 30- 40%. Se questa trasmissione avviene nei primi mesi di gravidanza è maggiore il rischio di problemi per il feto, fino all’aborto spontaneo.
Per le donne in età riproduttiva il rischio maggiore di esposizione al virus è attraverso il contatto con l'urina o la saliva di bambini, infatti le donne con figli piccoli o che lavorano in centri di accoglienza sono considerate “ a più alto rischio d’infezione”.
Il virus può tuttavia essere trasmesso anche attraverso il latte materno, lo sperma, emoderivati, secrezioni cervicali e liquido amniotico.
LA DIAGNOSI
Una volta infettata, la donna produce gli anticorpi IgM e IgG rivolti contro il virus. Il titolo anticorpale IgM è alto dal 1° al 3° mese (fase acuta) e poi decresce successivamente (fase di convalescenza). In alcuni casi, però, le IgM possono persistere fino a 6-9 mesi dopo l'infezione primaria.
Una volta che il virus è presente nel sangue materno gli anticorpi neutralizzanti legano l’antigene virale.
Ma tutti gli anticorpi sono neutralizzanti? Non proprio. Le IgG neutralizzanti sono quelle che legano con alta avidità l'antigene mentre gli anticorpi IgG a bassa avidità hanno scarsa capacità neutralizzante e sono indicativi di un'infezione recente.
La diagnosi di un’infezione primaria si basa sulla rilevazione e la dimostrazione di un’avvenuta sieroconversione degli anticorpi IgG. La sieroconversione è il passaggio dallo stato di sieronegatività (assenza di tali anticorpi nel plasma sanguigno) allo stato di sieropositività (presenza di tali anticorpi nel plasma sanguino).
Dal momento che lo screening di routine in donne a basso rischio non è raccomandato, la sieroconversione è raramente documentata.
L’infezione primaria può essere sospettata in presenza di anticorpi IgM. Se gli anticorpi IgM sono presenti l'infezione può essere acuta. Tuttavia, essi possono essere presenti anche nella fase di convalescenza o durante infezioni non primarie. Fino a poco tempo fa poteva essere difficile stabilire con certezza se si era di fronte ad una infezione primaria o meno, oggi però la certezza diagnostica è migliorata. Il test di avidità IgG è in grado di rilevare un’infezione acuta con il 92-100% di sensibilità e 82-100% di specificità.
Questo test determina se l'anticorpo IgG ha alta avidità, indicando una precedente infezione, o bassa avidità, indicando un’infezione primaria. All'anticorpo IgG occorrono da 18 a 20 settimane per dimostrare alta avidità dopo un’infezione acuta. Pertanto, un test di bassa avidità effettuato precedentemente al periodo che va dalla 18° alla 20° settimana di gravidanza può identificare tutte le donne ad alto rischio di gravi infezioni congenite.
PREVENZIONE DEL CONTAGIO MADRE – FETO
L’intervento ideale nella prevenzione dell’infezione congenita da Citomegalovirus (CMV) sarebbe la vaccinazione. Tuttavia, poiché un vaccino sicuro ed efficace non è al momento disponibile , la strategia di prevenzione è focalizzata sull’educazione materna riguardo due temi: l’igiene, per non contrarre l’infezione in gravidanza, e il potenziale trattamento con immunoglobuline CMV-specifiche o. Questo ultimo tipo di intervento può infatti prevenire la trasmissione materno-fetale. Studi preliminari suggeriscono i che il trattamento con immunoglobuline dopo una infezione materna primaria documentata può ridurre il rischio di infezioni congenite.
Uno studio non randomizzato (Nigro et al – 2005) effettuato su 181 donne con infezione primaria ha dimostrato il potenziale delle immunoglobuline come mezzo di prevenzione delle infezioni fetali.
Il gruppo di prevenzione era costituito da 37 donne che non avevano subito amniocentesi o perchè il tempo di gestazione era inferiore alle 20 settimane, o perché in prossimità della diagnosi (entro 6 settimane dall’infezione primaria) oppure per il semplice rifiuto di sottoporvisi.
A questo gruppo sono stati somministrati 100 U/kg di HIG ogni mese fino al parto.
Il gruppo di confronto era rappresentato da 47 donne che non avevano subito amniocentesi e che avevano anche rifiutato la terapia di prevenzione.
Nel gruppo di prevenzione il 16% dei neonati alle cui madri era stato somministrato HIG manifestavano un’ infezione congenita, contro il 40% dei neonati appartenenti al gruppo in cui le madri avevano rifiutato la terapia con HIG. Tuttavia esistono controversie riguardanti l’eterogeneità del gruppo di prevenzione, la mancanza di randomizzazione e l’esiguità del campione di questo studio.
Recentemente, i dati preliminari provenienti da uno studio randomizzato sull’uso di CMV HIG per la prevenzione sono stati negativi, con un tasso del 44% di infezioni congenite nel gruppo placebo contro un tasso del 30% nel gruppo di trattamento (p = 0.13). I risultati definitivi non sono stati ancora pubblicati.
Negli Stati Uniti è in corso anche un altro ampio e multicentrico studio randomizzato effettuato dalla Maternal-Fetal Medicine Units Network, l’arruolamento dovrebbe essere chiuso entro il 2016 (“A Randomized Trial to Prevent Congenital Cytomegalovirus Infection,” ClinicalTrials.gov # NCT01376778).
Il Citomegalovirus (CMV) è un virus appartenente alla famiglia degli Herpesviridae. Si tratta di un agente infettivo molto comune: nei Paesi sottosviluppati il 90-100% della popolazione ne è contagiata, mentre in quelli occidentali il 60-80% degli adulti presenta anticorpi anti- Citomegalovirus nel siero. I sintomi, in età adulta e anche nell’infanzia, sono simili a quelli dell’influenza o della mononucleosi. Il virus è però particolarmente pericoloso se contratto dal feto, con una trasmissione verticale madre – figlio: in questo caso e si parla di citomegalovirus congenito.
L’infezione primaria* della madre durante i primi mesi di gravidanza rappresenta, infatti, un significativo fattore di rischio per l’ aborto spontaneo, o comunque per serie conseguenze a carico del feto.
Negli Stati Uniti l’infezione congenita da Citomegalovirus è la più comune tra le infezioni congenite, con una prevalenza dello 0,64 %. All’incirca 1 bambino su 150 nati negli Stati Uniti viene infettato, con un totale di 30.000 casi ogni anno. Quasi 8000 bambini rimangono permanentemente disabili a causa dell’infezione dal virus, con sintomi quali ritardo dello sviluppo, sordità e perdita della vista. Circa 400 neonati muoiono ogni anno per questa causa e, oltre al danno emotivo e umano, tutto ciò si traduce all’incirca in 2 bilioni di dollari di spesa sanitaria annua.
L’INFEZIONE
L’infezione materna da CMV può essere primaria o non primaria.
Le infezioni non primarie consistono nella riattivazione di un’infezione latente o reinfezioni con un nuovo ceppo del virus. Nel caso di infezione non primaria la probabilità che questa si trasferisca al feto è limitata all’1% dei casi. Diversa è la situazione in caso di infezione primaria
*L’'infezione primaria insorge quando la madre entra a contatto con il virus per la prima volta.
Questo accade in circa l’1-4% delle donne in gravidanza e in questo caso la probabilità di trasmissione del virus al feto sale fino al 30- 40%. Se questa trasmissione avviene nei primi mesi di gravidanza è maggiore il rischio di problemi per il feto, fino all’aborto spontaneo.
Per le donne in età riproduttiva il rischio maggiore di esposizione al virus è attraverso il contatto con l'urina o la saliva di bambini, infatti le donne con figli piccoli o che lavorano in centri di accoglienza sono considerate “ a più alto rischio d’infezione”.
Il virus può tuttavia essere trasmesso anche attraverso il latte materno, lo sperma, emoderivati, secrezioni cervicali e liquido amniotico.
LA DIAGNOSI
Una volta infettata, la donna produce gli anticorpi IgM e IgG rivolti contro il virus. Il titolo anticorpale IgM è alto dal 1° al 3° mese (fase acuta) e poi decresce successivamente (fase di convalescenza). In alcuni casi, però, le IgM possono persistere fino a 6-9 mesi dopo l'infezione primaria.
Una volta che il virus è presente nel sangue materno gli anticorpi neutralizzanti legano l’antigene virale.
Ma tutti gli anticorpi sono neutralizzanti? Non proprio. Le IgG neutralizzanti sono quelle che legano con alta avidità l'antigene mentre gli anticorpi IgG a bassa avidità hanno scarsa capacità neutralizzante e sono indicativi di un'infezione recente.
La diagnosi di un’infezione primaria si basa sulla rilevazione e la dimostrazione di un’avvenuta sieroconversione degli anticorpi IgG. La sieroconversione è il passaggio dallo stato di sieronegatività (assenza di tali anticorpi nel plasma sanguigno) allo stato di sieropositività (presenza di tali anticorpi nel plasma sanguino).
Dal momento che lo screening di routine in donne a basso rischio non è raccomandato, la sieroconversione è raramente documentata.
L’infezione primaria può essere sospettata in presenza di anticorpi IgM. Se gli anticorpi IgM sono presenti l'infezione può essere acuta. Tuttavia, essi possono essere presenti anche nella fase di convalescenza o durante infezioni non primarie. Fino a poco tempo fa poteva essere difficile stabilire con certezza se si era di fronte ad una infezione primaria o meno, oggi però la certezza diagnostica è migliorata. Il test di avidità IgG è in grado di rilevare un’infezione acuta con il 92-100% di sensibilità e 82-100% di specificità.
Questo test determina se l'anticorpo IgG ha alta avidità, indicando una precedente infezione, o bassa avidità, indicando un’infezione primaria. All'anticorpo IgG occorrono da 18 a 20 settimane per dimostrare alta avidità dopo un’infezione acuta. Pertanto, un test di bassa avidità effettuato precedentemente al periodo che va dalla 18° alla 20° settimana di gravidanza può identificare tutte le donne ad alto rischio di gravi infezioni congenite.
PREVENZIONE DEL CONTAGIO MADRE – FETO
L’intervento ideale nella prevenzione dell’infezione congenita da Citomegalovirus (CMV) sarebbe la vaccinazione. Tuttavia, poiché un vaccino sicuro ed efficace non è al momento disponibile , la strategia di prevenzione è focalizzata sull’educazione materna riguardo due temi: l’igiene, per non contrarre l’infezione in gravidanza, e il potenziale trattamento con immunoglobuline CMV-specifiche o. Questo ultimo tipo di intervento può infatti prevenire la trasmissione materno-fetale. Studi preliminari suggeriscono i che il trattamento con immunoglobuline dopo una infezione materna primaria documentata può ridurre il rischio di infezioni congenite.
Uno studio non randomizzato (Nigro et al – 2005http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16192480 )effettuato su 181 donne con infezione primaria ha dimostrato il potenziale delle immunoglobuline come mezzo di prevenzione delle infezioni fetali.
Il gruppo di prevenzione era costituito da 37 donne che non avevano subito amniocentesi o perchè il tempo di gestazione era inferiore alle 20 settimane, o perché in prossimità della diagnosi (entro 6 settimane dall’infezione primaria) oppure per il semplice rifiuto di sottoporvisi.
A questo gruppo sono stati somministrati 100 U/kg di HIG ogni mese fino al parto.
Il gruppo di confronto era rappresentato da 47 donne che non avevano subito amniocentesi e che avevano anche rifiutato la terapia di prevenzione.
Nel gruppo di prevenzione il 16% dei neonati alle cui madri era stato somministrato HIG manifestavano un’ infezione congenita, contro il 40% dei neonati appartenenti al gruppo in cui le madri avevano rifiutato la terapia con HIG. Tuttavia esistono controversie riguardanti l’eterogeneità del gruppo di prevenzione, la mancanza di randomizzazione e l’esiguità del campione di questo studio.
Recentemente, i dati preliminari provenienti da uno studio randomizzato sull’uso di CMV HIG per la prevenzione sono stati negativi, con un tasso del 44% di infezioni congenite nel gruppo placebo contro un tasso del 30% nel gruppo di trattamento (p = 0.13). I risultati definitivi non sono stati ancora pubblicati.
Negli Stati Uniti è in corso anche un altro ampio e multicentrico studio randomizzato effettuato dalla Maternal-Fetal Medicine Units Network, l’arruolamento dovrebbe essere chiuso entro il 2016 (“A Randomized Trial to Prevent Congenital Cytomegalovirus Infection,” ClinicalTrials.gov # NCT01376778).
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