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Maddalena

Maddalena: “Non è stato facile vedere la patologia in mia madre e pensare che un giorno sarebbe potuta toccare anche a me”

All’inizio degli anni ’90, la scoperta del gene alla base della malattia di Huntington è stato il primo passo sulla strada della realizzazione di un test per valutare la presenza della mutazione patologica in individui con il sospetto della malattia e nei loro familiari. Ma decidere di sottoporsi ad un simile esame non è mai facile, poiché l’eventuale risultato ha pesanti implicazioni sul futuro e sulle scelte di vita della persona che lo esegue: a spiegarlo è Maddalena, che ha deciso di raccontare la propria vicenda personale all’Osservatorio Malattie Rare.

“Ho 34 anni e ho due fratelli, Tommaso e Simone”, esordisce Maddalena. “Tommaso è più grande di me e Simone ha dieci anni meno di me. Io e Simone siamo risultati positivi al test presintomatico per la malattia di Huntington. Conosco la patologia dal 2002, quando fu diagnosticata a mia madre. Per noi tutti è stato un tragico salto nel vuoto: non sapendo a che cosa saremmo andati incontro, eravamo spaventati. C’è voluto molto tempo per imparare ad accettarla. Anche perché ha trasformato mia madre, che da donna forte e piena di vita è divenuta via via più ‘svogliata’ e sempre più gracile. Tutto è cominciato un po’ in sordina, per così dire. Mia madre ha iniziato a sviluppare i sintomi fisici, quei terribili movimenti involontari. E poi è cambiata anche caratterialmente, intristendosi sempre più. Dopo alcune visite le dissero che si trattava di crisi depressive: una diagnosi comune. Ma nel nostro paese abitava un uomo a cui era stata appena posta la diagnosi di malattia di Huntington. La moglie ci disse di rivedere, negli strani movimenti di mia madre, le stesse peculiari movenze del marito e ci ha suggerito di sottoporre la mamma ad una visita con la loro neurologa di Monza. Dopo una serie di test è stata confermata la diagnosi di Huntington. Col senno di poi, abbiamo ripensato che forse anche la nonna ne era affetta. Io ero piccola e non ricordo quale fosse la precisa causa della morte di mia nonna, anche se sembra che alcuni dei suoi sintomi fossero gli stessi di mia madre: credevamo fosse una condizione individuale della nonna, non pensavamo si trattasse di una malattia del genere, con un tale peso in termini ereditari. La dottoressa ci ha informato del fatto che la malattia di Huntington è ereditaria, e che ogni figlio ha il 50% di possibilità di ereditarla dal genitore affetto”.

“Ho scoperto la Huntington a 16 anni – prosegue Maddalena – e ho atteso di diventare maggiorenne per poi sottopormi al test genetico presintomatico, così da togliermi ogni dubbio, per non vivere nell’incertezza. Ho effettuato l’esame con mio fratello maggiore, Tommaso. Egli inizialmente era contrario all’idea di farlo, ma non me l’avrebbe mai fatto fare da sola e così mi ha accompagnata. Prima del test ho svolto degli incontri con neurologi e psicologi che mi hanno ben spiegato il suo significato. Sulla base di come si affrontano le diverse visite consigliano o meno di farlo, e ci mettono di fronte ai futuri passaggi che dovremo affrontare: c’è sempre la preoccupazione di consegnare un risultato che potrebbe cambiare la vita a tutti. Finalmente è giunto il giorno dell’esito e, seduti di fronte alla dottoressa, io e mio fratello abbiamo scoperto che il mio test era positivo e il suo negativo. Nel momento in cui me l’hanno comunicato sono tornata a respirare, mi sono tolta un peso che mi rendeva intollerabile la vita. Dopo il test non ho fatto visite psicologiche, ma una volta all’anno mi sottopongo ad esami per tenere sotto controllo la malattia. Successivamente, anche mio fratello più piccolo, Simone, si è sottoposto al test presintomatico ed è risultato positivo. Per me, l’esito del suo test è stato psicologicamente più difficile da affrontare del mio, perché, date le condizioni di mia madre, ho cresciuto io Simone e l’ho accudito fin da quando era bambino. La mamma era malata e io ero la donna di casa. Era il mio piccolino”.

Non è stato facile vedere la malattia in mia madre e pensare che un giorno sarebbe potuta toccare anche a me”, spiega Maddalena. “Una delle maggiori difficoltà è stato darle da mangiare. I malati di Huntington fanno fatica a deglutire e io avevo paura che si strozzasse e di non imboccarla correttamente. All’inizio ho passato un brutto periodo, ero sempre triste e depressa: è stato difficile ma mio padre è stato una roccia, è stato il collante della famiglia col suo atteggiamento positivo. Gradualmente, insieme a lui, io e i miei fratelli ci siamo presi cura della mamma e tutte queste difficoltà hanno portato la mia famiglia ad unirsi ancora di più. Con l’amore di papà e dei miei fratelli, faccio meno fatica ad affrontare la malattia di Huntington, con cui ora convivo. Gestisco un bar a Milano e adoro viaggiare. Non ho condizionamenti e partecipo a molte iniziative di raccolta fondi a sostegno della ricerca. So che ci sono degli studi clinici in corso e questo mi incoraggia. Collaboro con l’associazione AICH Roma OdV e non ho paura di parlare della mia malattia. È importante che di questa malattia si parli, che la gente ne parli e che i pazienti non si nascondano. Più siamo al centro dell'attenzione e meglio è: se ci nascondiamo è peggio. Mia madre mi ha insegnato a sorridere nonostante tutto e io, ora, metto in atto il suo insegnamento!”

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