Alla piccola Costanza è stata diagnosticata la patologia e i suoi genitori si sentono fuori dal mondo. La dott.ssa Francesca Fumagalli: “Per i piccoli pazienti è molto difficile trovare supporto vicino a casa”
Fino a un anno fa, la vita della piccola Costanza era uguale a quella di tutti i bambini della sua età: parlava, giocava e rideva come gli altri, e nulla lasciava presagire che, di là a pochi mesi, una malattia rarissima avrebbe completamente sconvolto la sua quotidianità e quella della sua famiglia. “Costanza ha sei anni ed è figlia unica, viviamo a Torrenova, un piccolo paese in provincia di Messina, dove ci sentiamo completamente lontani da tutto e abbandonati dal mondo: qua le malattie rare non le conosce nessuno”, esordisce sua madre Chiara, 37 anni e un impiego come consulente finanziaria. “Costanza è sempre stata una bimba molto intelligente e simpatica. Fin da piccola era un vulcano di energia, molto attiva e socievole. Era sana e non si ammalava mai. Avevamo notato solo qualche piccolo impaccio motorio e una mancanza di agilità, ma i medici ci avevano tranquillizzati: sì, aveva un piede piatto, ma per il resto era colpa nostra perché la tenevamo sempre in braccio e la viziavamo troppo. Non potevamo sospettare l’insorgenza di una malattia così grave: la leucodistrofia metacromatica dovuta a deficit di prosaposina”.
Il primo campanello d’allarme, per la famiglia, arriva tra marzo e aprile 2020, mentre tutta l’Italia è alle prese con il primo lockdown. Costanza, che all’epoca ha quasi 5 anni, inizia ad avere problemi con un piedino, che poggia malamente, e a manifestare mancanza di equilibrio. “Decidiamo di portare la bambina da un ortopedico, che ci conferma il piedino piatto ma che ci consiglia anche di interpellare un neurologo per la questione dell’equilibrio”, racconta Chiara. “Senza esitare, prenotiamo una visita neurologica e la dottoressa che visita Costanza nota altri problemi oltre alla perdita di equilibrio, tra cui diverse difficoltà a livello di motilità fine e un importante impaccio motorio in relazione all’età”. Così, a inizio luglio, Chiara e suo marito si rivolgono al Policlinico Tor Vergata di Roma e, a ottobre, la piccola Costanza effettua una risonanza magnetica presso il Policlinico di Messina: fin da subito si sospetta una leucodistrofia metacromatica. “Dopo una decina di giorni, con grande apprensione, ci rechiamo all’Ospedale San Raffaele di Milano, dove viene confermata la diagnosi di leucodistrofia metacromatica dovuta a deficit di prosaposina: una forma di leucodistrofia metacromatica molto rara e attualmente senza cura”.
Il parere dell’esperto: la dott.ssa Francesca Fumagalli
“Quella di Costanza è una forma di leucodistrofia metacromatica derivante dalla mutazione del gene PSAP, il quale codifica per una proteina precursore, chiamata appunto prosaposina, che ha il ruolo di attivare un’altra proteina, l’arilsulfatasi A”, spiega Francesca Fumagalli, specialista in Neurologia presso l’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica (SR-TIGET) di Milano. “L’arilsulfatasi A è come uno ‘spazzino’ che deve distruggere delle sostanze nel nostro organismo: se questa proteina non viene attivata dalla prosaposina, non compie il suo ruolo di spazzino e tali sostanze si accumulano soprattutto nel sistema nervoso. I bambini con questa malattia nascono sani ma, via via che queste sostanze tossiche si accumulano, aumenta il danno a carico del sistema nervoso, in particolare della mielina. Alla fine – prosegue Fumagalli – gli effetti somigliano molto a quelli della leucodistrofia metacromatica classica, in cui il difetto genetico coinvolge il gene dell’arilsulfatasi A, in quanto, anche in questo caso, si verifica l’accumulo di sostanze tossiche nel sistema nervoso centrale e periferico, cioè nel cervello e nei nervi, per cui il bambino va incontro a un percorso degenerativo, perdendo nel tempo le capacità motorie e cognitive acquisite”.
Insomma, la leucodistrofia metacromatica da deficit di prosaposina è una malattia ultra-rara, che riguarda davvero pochissimi individui. “Questo deficit sembra essere più comune in Sicilia – precisa la dott.ssa Fumagalli – presumibilmente perché esiste un antenato che ha diffuso tale alterazione tra la popolazione. Come nella forma classica della leucodistrofia metacromatica, il deficit da prosaposina può dare vita a forme più o meno gravi della malattia. Inoltre, la rarità di questa patologia, come d’altra parte accade anche nella forma classica, porta spesso a diagnosi molto tardive perché, a fronte di un bambino con un ritardo nell’acquisizione del linguaggio e delle competenze motorie, i pediatri e gli stessi neuropsichiatri non sono portati a prendere in considerazione la presenza di una malattia rarissima. Solo attraverso la risonanza magnetica dell’encefalo e l’elettromiografia per studiare i nervi periferici è possibile diagnosticare questo tipo di patologie”.
Un altro problema riguarda le difficoltà che incontrano pazienti e familiari nell’ottenere assistenza sul proprio territorio di residenza. “È molto difficile per questi bambini trovare supporto vicino a casa”, conferma Francesca Fumagalli. “Spesso, i medici del posto non sanno come gestire una malattia così rara, che richiede l’assistenza da parte di un team multidisciplinare composto, oltre che dal pediatra e dal neurologo, anche da una serie di figure professionali come il fisioterapista, lo psicomotricista, il fisiatra e il logopedista. Insomma, l’obiettivo è che i piccoli pazienti vengano seguiti in un centro specializzato, ma che poi possano trovare sul loro territorio una rete di aiuti in grado di accompagnarli nella gestione delle problematiche quotidiane. È anche fondamentale – conclude la neurologa – che la ricerca vada avanti anche per le forme ultra-rare della leucodistrofia metacromatica, cercando di conoscere meglio la forma causata da deficit di prosaposina e studiando opzioni terapeutiche specifiche per questo preciso difetto genetico”.
L’appello di mamma Chiara e papà Ugo
Per quanto riguarda la piccola Costanza, i sintomi della patologia hanno cominciato a manifestarsi in modo evidente solo a febbraio 2020. Un po’ per volta, la piccola ha smesso di camminare, mangiare da sola, colorare, tenere una semplice penna in mano e parlare. “Attualmente dice solo qualche parolina e in modo poco chiaro”, spiega sua madre. “Comprende bene, a livello cognitivo sembra non aver perso nulla, ma è molto stanca e si affatica facilmente. Ha anche difficoltà di deglutizione e crisi distoniche che la costringono a trascorrere la maggior parte del tempo a letto. Stiamo seguendo una cura per la rigidità muscolare, che è comparsa da un paio di mesi. A breve ci recheremo a fare il controllo generale al San Raffaele di Milano, dove siamo seguiti con grande professionalità dalla dottoressa Francesca Fumagalli”. Avendo cominciato a leggere all’età di 4 anni, Costanza riconosce i numeri, le lettere e alcune semplici parole e, anche se con grande difficoltà, cerca sempre di esprimersi. “Tutto questo grazie anche alla professionalità dei terapisti che la seguono”, sottolinea Chiara. “Durante la settimana fa neuropsicomotricità, logopedia e fisioterapia a livello domiciliare. È molto legata ai suoi terapisti, con loro si è creato un grande rapporto di affetto”. Quest’anno, poi, la piccola ha cominciato anche la prima elementare, seguita a casa da un insegnante di sostegno che le fa lezione due ore al giorno.
Oggi Costanza è ancora una bambina allegra, simpatica e sorridente. Sempre accanto a lei, mamma Chiara e papà Ugo vanno avanti giorno per giorno, cercando di capire come affrontare una malattia rarissima che in Italia interessa solo con una manciata di persone. Incontrare altri familiari che vivono la loro stessa condizione sarebbe per loro di grande conforto e, per questo motivo, hanno deciso di lanciare un appello attraverso OMaR. Le famiglie italiane che convivono con la leucodistrofia metacromatica da deficit di prosaposina possono mettersi in contatto con mamma Chiara scrivendo all’indirizzo e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..