Un facile accesso ai test genetici, un supporto nutrizionale e psicologico e un più stretto rapporto medico-paziente le necessità più espresse
Roma – Cresce, seppur lentamente, la consapevolezza della popolazione rispetto ai temi che riguardano la sfera della salute dell’apparato digerente, in particolare sull’importanza della diagnosi precoce e dei campanelli d’allarme. Tuttavia, le zone d’ombra non mancano e i pazienti che convivono con un tumore gastrointestinale rivendicano una maggiore informazione sulla malattia e il percorso di cura e più attenzione agli aspetti della vita quotidiana, come la nutrizione, il supporto psicologico, i postumi dell’intervento chirurgico, gli effetti collaterali delle terapie oltre a una maggiore necessità di un più stretto contatto con il medico curante. Abbastanza soddisfacente l’informazione ricevuta dallo specialista dopo la diagnosi sulle terapie da adottare, mentre resta lacunoso e disomogeneo sul territorio nazionale l’accesso ai test genetici, offerti a meno di un paziente su 3.
È quanto emerge dall’indagine conoscitiva sui tumori gastrointestinali, condotta nell’ambito dell’iniziativa “In Contatto”, promossa dalle 43 Associazioni del gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, che ha voluto indagare le esperienze e le esigenze delle pazienti e dei pazienti durante il percorso di cura per portare all’attenzione delle Istituzioni eventuali disagi, bisogni non soddisfatti e proposte per trovare soluzioni adeguate. I dati dell’indagine sono stati presentati durante una diretta Facebook, il secondo di una serie di incontri sul web nell’ambito dell’iniziativa “In Contatto”, che ha avuto come focus proprio i tumori dell’apparato digerente.
A commentare i dati dell’indagine conoscitiva condotta sulle pazienti e sui pazienti nei mesi precedenti e rispondere alle domande delle persone collegate sono state Maria Di Bartolomeo, Responsabile S.S. Oncologia Medica Gastroenterologica, Istituto Nazionale Tumori di Milano e Laura Lorenzon, Cofondatrice Europa Colon Italia e membro del direttivo, insieme a Annamaria Mancuso, Presidente di Salute Donna Onlus e Coordinatore del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”.
“La popolazione generale è molto più consapevole che in passato rispetto a questi tumori e all’impatto che essi possono avere sulla vita di tutti i giorni”, dichiara Annamaria Mancuso. “Questo è il dato più interessante che emerge dalle testimonianze dei pazienti in questa indagine. È evidente che la presa in carico globale delle pazienti e dei pazienti con tumore gastrointestinale non solo è altamente complessa, ma le loro attese sono in parte non soddisfatte. In particolare, c’è molto da fare per rendere accessibili a tutti i pazienti i test genetici, per migliorare e ampliare le opzioni terapeutiche e potenziare fattori organizzativi, strutturali e di risorse umane, non ultimo la disponibilità del team multidisciplinare, del supporto nutrizionale e psicologico. Un lavoro che noi del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, intendiamo continuare a portare avanti con forza e determinazione per assicurare alle pazienti e ai pazienti tutto il sostegno necessario a che la loro presa in carico diventi veramente globale”.
Attraverso l’indagine è stata richiesta la testimonianza delle pazienti e dei pazienti, che nel complesso hanno un’età compresa tra i 50 e i 75 anni, il 62% di sesso maschile, il 32% in trattamento, il 32% in follow up, il 24% appena operato e l’8% in cure palliative/supporto terapeutico, sui diversi aspetti del loro percorso di malattia e cura: diagnosi, prevenzione, scelte terapeutiche, gestione e impatto della malattia, esigenze e priorità. L’indagine ha confermato il problema delle diagnosi tardive per i tumori dell’apparato digerente, legate soprattutto all’aspecificità dei sintomi e alla mancanza di screening di popolazione, fatta eccezione per il tumore del colon retto, per il quale si ricorre all’esame del sangue occulto nelle feci (SO). Il 48% degli over 50 aderisce con regolarità agli screening regionali per la ricerca del sangue occulto nelle feci, il 42% non aderisce affatto e solo un 10% lo fa in modo saltuario. Oltre un intervistato su 2, al momento della diagnosi, presentava una malattia in stadio avanzato mentre il 48% era in stadio iniziale e limitato. Il 36% del campione ha riferito di aver scoperto il tumore gastrointestinale a seguito di sintomi aspecifici, il 26% a seguito di sintomi sospetti e il 18% durante controlli di routine. Il 20% ha condiviso con il proprio medico i sintomi aspecifici. Anche in questo caso si evidenzia una crescita di conoscenza e consapevolezza della popolazione che appare più informata rispetto al passato su eventuali segnali che possono far sospettare un tumore grastrointestinale.
“Desta preoccupazione il dato che circa il 42% degli intervistati non aderisce agli screening, confermando che siamo ben lontani, purtroppo, da quella che dovrebbe essere la pratica routinaria e sicuramente vi è l’urgenza di attuare un’operazione di sensibilizzazione su questi temi all’interno della popolazione, la cui attenzione in questi ultimi due anni è stata rivolta alla pandemia, distraendo dalla buona pratica dello screening per il tumore del colon retto, che può salvare la vita, scoprendo i tumori in fase iniziale e le lesioni precancerose”, commenta Laura Lorenzon. “Un altro dato rilevante riguarda quel 42% di intervistati in cui non è mai stata eseguita la caratterizzazione molecolare del tumore. Anche questo è un risultato preoccupante soprattutto per alcuni tipi di tumore. Come il cancro del colon retto in fase metastatica, in cui il test genetico consente di individuare le terapie target e a cui il tumore risponde meglio. Bisogna lavorare molto per sensibilizzare la popolazione, soprattutto quella maschile, perché le donne hanno una maggiore percezione ed educazione sull’importanza della prevenzione primaria e secondaria”.
L’indagine ha evidenziato che riguardo alla prevenzione rimane ancora molto da fare, sebbene vi sia una maggiore percezione nella popolazione sull’importanza di corretti stili di vita. Resta comunque la necessità di rafforzare i programmi di prevenzione primaria. Prima della diagnosi, il 60% del campione non ha mai effettuato una visita dal gastroenterologo; riguardo al ruolo del medico di famiglia, nel 66% dei casi il medico di medicina generale non ha mai prescritto una gastroscopia.
È netta la percezione delle pazienti e dei pazienti sull’impatto del tumore gastrointestinale sulla vita di tutti i giorni: le limitazioni sono pesanti. Il 32% degli intervistati ha lamentato ansia e depressione post-diagnosi; il 28% assenza di supporto psicologico e la stessa percentuale problemi legati ai postumi dell’intervento chirurgico. Il 24% ha dichiarato di avere problemi legati alle modalità di somministrazione e agli effetti collaterali delle terapie. La malattia “pesa” anche sull’attività lavorativa e sui diritti in ambito sociale.
L’informazione e la conoscenza della malattia e di ciò che attende le pazienti e i pazienti dopo la diagnosi sono due elementi prioritari per tutti loro. Scarsa l’informazione ricevuta sul tumore prima della diagnosi: il 42% del campione ha dichiarato di essere poco informato e il 34% per niente. Soltanto il 24% degli intervistati si ritiene molto/abbastanza informato.
È evidente che, accanto ad una maggiore informazione su questi tumori, sia le pazienti sia i pazienti vorrebbero: una maggiore condivisione con lo specialista sulle scelte terapeutiche, che rimane scarsa/inadeguata per il 52% del campione; una presa in carico del paziente e della malattia in tutti i suoi molteplici e complessi aspetti da parte di un team multidisciplinare, infatti solo un 30% degli intervistati è stato seguito da diverse figure multiprofessionali e addirittura il 16% non ha mai sentito parlare di team multidisciplinare. La diretta conseguenza è che solo al 16% del campione è stata fornita un’assistenza nutrizionale, sebbene circa il 16% degli intervistati ha riferito di aver dovuto “spesso” o “qualche volta” interrompere le cure a causa della malnutrizione. Stessa cosa per il supporto psicologico, proposto solo al 26% del campione.
I risultati dell’indagine sono disponibili sul sito web del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”.