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Tra i ricercatori due medici del Policlinico Gemelli dove sta partendo una nuova sperimentazione sul farmaco

Fino ad oggi le persone affette da sindrome dell’X Fragile, la più frequente causa di ritardo mentale di origine genetica, hanno avuto solo trattamenti di sostegno dei disturbi comportamentali. Ora, grazie ad una ricerca multicentrica europea sulla nuova molecola di Novartis Pharmaceuticals, non ancora autorizzata in commercio, la AFQ056,  qualche cosa potrebbe cambiare. Uno studio appena pubblicato su Science Translational Medicine, condotto su 30 pazienti di età compresa tra 18 e i 35 anni, ha infatti appena mostrato che questa molecola, il cui impiego viene studiato anche per la malattia di Parkinson, potrebbe avere effetti positivi su un sottogruppo specifico di malati, quelli in cui il gene FRM1 è completamente inattivo. Del team di ricerca, guidato da Sebastien Jacquemont di Vaudois dell'Università della Svizzera, fanno parte anche due medici italiani: il professor Giovanni Neri, responsabile della Genetica Medica, e la professoressa Maria Giulia Torrioli dirigente medico della Neuropsichiatria Infantile, entrambi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Policlinico Agostino Gemelli di Roma.

“Lo studio – spiega il prof Neri – prevedeva l’utilizzo di questa nuova molecola e del placebo per 20 giorni. Si ritiene infatti che l’ AFQ056 abbia un’azione veloce. Prima dell’inizio della sperimentazione tutti i pazienti avevano avuto una complessa valutazione che comprendeva anche il livello di iperattività e di deficit di attenzione. Alla fine della sperimentazione abbiamo riscontrato che non c’era una sostanziale differenza nei cambiamenti che si erano verificati nel gruppo trattato con la molecola rispetto a quello sottoposto a placebo: in entrambi c’era un miglioramento che credevamo fosse effetto placebo. Poi però abbiamo avuto una bella intuizione, quella di valutare i risultati dividendo i malati in due gruppi: quelli che mostravano una metilazione, cioè una inattività del gene FMR1, totale e quelli in cui invece l’attività del gene, se pur notevolmente ridotta, era ancora presente”.
È a questo punto che è arrivata la bella sorpresa. “I risultati hanno mostrato che nei 7 pazienti in cui la metilazione del gene era totale il farmaco aveva dato risultati migliori dal punto di vista del controllo dell’iperattività e del deficit di attenzione. Al momento non sappiamo darci una spiegazione precisa, soprattutto perché questa molecola non agisce a livello dal DNA ma a valle, cioè a livello delle sinapsi neuronali. Per questo abbiamo deciso di dare il via ad una sperimentazione clinica molto più ampia, che al Gemelli sta partendo proprio in questi giorni”. Alla sperimentazione parteciperanno Europa e Stati Uniti per un totale di 160 pazienti. L’obiettivo è in primo luogo di verificare questo effetto del farmaco sui pazienti con metilazione totale e l’altro è quello di capire come mai via sia questa differenza. Il farmaco in questione è stato progettato per bloccare l'attività della proteina mGluR5, che funziona da recettore e regola le connessioni neuronali, un processo che nei pazienti affetti dalla X Fragile viene messo in crisi dal fatto che il gene FRM1, mutando, non produce, o produce in quantità insufficiente, la proteina FRMP, coinvolta nel regolare le connessioni neurali. Così la  proteina mGluR5, non frenata dalla FRMP, provoca l’ipetattività della persona. Allo studio ha preso parte anche la dottoressa Dr. Elizabeth Berry-Kravis direttore del Fragile X Clinic and Research Program presso la Rush University di Chicago.

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