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Vincenzo Stanghellini

Il professor Vincenzo Stanghellini (Bologna): “La diagnosi della patologia è complessa e le attuali opzioni terapeutiche sono spesso insoddisfacenti”

“Possiamo immaginare i disturbi gastrointestinali come ordinati all’interno di una piramide di severità, alla cui base ci sono i banali disturbi digestivi che tutti noi sperimentiamo, ad esempio quando mangiamo troppo o andiamo al ‘ristorante sbagliato’. Man mano che saliamo i gradini di questa piramide la gravità delle patologie aumenta: troviamo le forme severe di dispepsia, dolore addominale, stipsi, diarrea, vomito e così via. All’apice della severità si colloca, senza dubbio, la pseudo-ostruzione intestinale cronica”, afferma il professor Vincenzo Stanghellini, Ordinario di Medicina Interna presso l’Università degli Studi di Bologna. Si tratta di una rara e invalidante patologia della motilità gastrointestinale, conosciuta anche come CIPO (Chronic Intestinal Pseudo-Obstruction), caratterizzata da episodi occlusivi ricorrenti, del tutto simili a un'ostruzione meccanica, ma in assenza di disturbi organici, sistemici, metabolici o di ostruzioni fisiche rilevabili.

EPIDEMIOLOGIA

La CIPO è malattia molto rara: la stima epidemiologica più accurata è stata effettuata in Giappone, dove è stata calcolata un’incidenza di un paziente ogni 270.000 bambini al di sotto dei 15 anni, e di un adulto affetto dalla malattia ogni 100.000, senza differenze significative tra maschi e femmine. 

SINTOMATOLOGIA

I sintomi dei pazienti affetti da CIPO sono estremamente gravi: dolori addominali che, a volte, non rispondono nemmeno alla morfina, nausea, vomito, diarrea o costipazione intrattabile, malassorbimento, perdita di peso e ritardo della crescita, tanto che si rende spesso necessaria l’alimentazione per via parenterale. Gli episodi critici sono ricorrenti e mimano una vera e propria occlusione intestinale”, spiega il professor Stanghellini. La sensazione del clinico che si ritrova ad assistere il paziente in medicina d’urgenza è quella di trovarsi di fronte a un’evidente condizione di occlusione intestinale: l’addome è gonfio, dolente e duro e, all'esame radiografico diretto, si osservano anse intestinali dilatate con multipli livelli idroaerei. L’intervento chirurgico sembra essere l’unica soluzione possibile: invece, lungi dall’essere risolutivo, complica la situazione, in quanto rischia di danneggiare ulteriormente la parete intestinale creando aderenze o, nei casi più estremi di resezioni multiple, anche insufficienza d’organo. “Infatti, una volta aperto l’intestino del paziente – sottolinea Stanghellini – è immediatamente evidente che non ci sia nulla di macroscopico, come un cancro o una briglia aderenziale che occlude il lume intestinale. Nonostante questo, spesso succede che, all’episodio successivo, il paziente venga riaperto e poi richiuso, e poi riaperto di nuovo e così via, in una serie pressoché infinita di interventi assolutamente inutili, senza che si giunga alla diagnosi”.

DIAGNOSI

“Dal punto di vista diagnostico, il grande dispiacere di noi medici - dichiara il professor Stanghellini con amarezza - è che, non sospettando la patologia, durante gli interventi, i chirurghi non eseguano l’unico esame che sarebbe effettivamente determinante per individuare la CIPO: una biopsia a tutto spessore del segmento intestinale interessato”. Per effettuare la diagnosi, il campione di tessuto va sottoposto a un esame immunoistochimico che valuti la numerosità dei neuroni enterici e la loro capacità di produrre i mediatori necessari alla contrazione e al rilascio della muscolatura (rispettivamente acetilcolina e ossido nitrico). Inoltre, attraverso questo tipo di analisi è possibile controllare e misurare l’attività delle cellule interstiziali di Cajal, dette “pacemaker” perché la loro depolarizzazione permette le contrazioni della tonaca muscolare liscia dello stomaco e dell'intestino che sono alla base dei movimenti peristaltici. “Purtroppo sono ancora troppo pochi i laboratori dove è possibile eseguire questo tipo di analisi su tutte le componenti della parete intestinale”, spiega il prof. Vincenzo Stanghellini.

Un altro strumento che permette di differenziare un’occlusione meccanica da una pseudo-ostruzione intestinale cronica è l’esame manometrico: attraverso naso, gola, esofago e stomaco, un apposito sondino raggiunge l’intestino tenue dove, effettuando un tracciato, è possibile rilevare aspetti anomali della motilità.

Prima di tutto, però, sono necessari un'attenta valutazione dei sintomi e un accurato esame obiettivo”, rimarca Stanghellini. “Successivamente, vanno eseguiti test diagnostici strumentali (esami radiologici e TAC addominale) o funzionali (scintigrafia del transito gastro-intestinale) e, soprattutto, le già citate biopsia a tutto spessore e manometria gastrointestinale”. Seppur complessi, questi ultimi due esami sono gli unici che permettono, con una certa precisione, di individuare le anomalie che sono alla base della CIPO.

EZIOPATOGENESI

I tre ‘giocatori in campo’ che concorrono alla manifestazione della pseudo-ostruzione intestinale cronica sono: il sistema nervoso enterico (il famoso “little brain”, “piccolo cervello”), la muscolatura liscia e le cellule interstiziali di Cajal. “Basta che uno solo uno di questi tre protagonisti decida di non giocare più e il transito intestinale risulterà compromesso”, chiarisce il prof. Stanghellini. Nella maggior parte dei casi di CIPO, l'origine dei disturbi a carico di questi tre elementi è ancora ignota. Tuttavia, studi recenti sono riusciti a identificare alcuni geni coinvolti. Per quanto riguarda alcune forme miopatiche di CIPO, ad esempio, la causa è stata individuata nella mutazione del gene ACTG2 e l’ereditarietà della patologia sembra essere autosomica dominante. 

Inoltre, una ricerca del 2014, condotta all’Università degli Studi di Bologna, ha riscontrato delle mutazioni nel gene RAD21 coinvolte in una forma neuropatica di CIPO associata a lesioni precancerose dell’esofago. “Con le dottoresse Elena Bonora e Francesca Bianco - racconta il prof. Stanghellini - stiamo portando avanti una serie di studi che hanno portato, tra l’altro, alla creazione di animali geneticamente modificati nei quali è possibile ricreare condizioni simili alla CIPO umana”. 

ETA' D'INSORGENZA E CARATTERISTICHE CLINICHE

Nella maggior parte dei casi, la pseudo-ostruzione intestinale cronica si manifesta nei primi 12 mesi di vita per la forma pediatrica, e tra i 20 e i 40 anni di età per quanto riguarda la forma dell’adulto. “Queste due forme di CIPO - precisa Stanghellini - si differenziano per il grado di severità: come succede per molte altre malattie, più la manifestazione è precoce, maggiore è la sua gravità. Ci sono radiografie che mostrano livelli idroaerei, indicativi di un’occlusione intestinale, già nel feto. La forma pediatrica di CIPO è in genere di tipo miopatico, si presenta da subito in modo acuto e spesso necessita di interventi di decompressione dei contenuti intestinali; il decorso clinico conduce, nella maggior parte dei casi, all’alimentazione per via parenterale. La forma dell’adulto è, in alcuni casi, meno severa e può essere scatenata da fattori intercorrenti, come un’infezione da parte di virus neurotropi o una reazione immunitaria sproporzionata che porta i plessi nervosi intestinali ad essere aggrediti e distrutti da parte delle cellule infiammatorie”.

TRATTAMENTO

Le anomalie nella motilità gastrointestinale tipiche della CIPO fanno sì che il contenuto dell’intestino, a causa di un’assenza di motilità o di un’ipermobilità incoordinata, rimanga bloccato o transiti troppo velocemente per poter permettere l’assorbimento dei nutrienti. “Al momento – evidenzia Stanghellini – per la CIPO manca una terapia davvero efficace. In alcuni casi riusciamo a mitigare i sintomi e a permettere il proseguimento della nutrizione per via orale, ma non siamo in grado di modificare la storia naturale della malattia né di ridurre la frequenza degli episodi occlusivi, e i risultati terapeutici sono spesso insoddisfacenti”.

Le attuali opzioni di trattamento comprendono le modificazioni della dieta (supporto nutrizionale mediante alimentazione orale, parenterale o enterale per prevenire la malnutrizione), l'uso di farmaci procinetici o antispastici (eventualmente anche in combinazioni varie), la gestione delle complicanze, come il dolore addominale e la sovracrescita batterica dell’intestino tenue (SIBO, Small Intestinal Bacterial Overgrowth), e il ricorso a specifici interventi chirurgici, anche se la loro reale efficacia è tuttora dibattuta. “A volte – conferma Stanghellini – quando la pseudo-ostruzione intestinale cronica sembra essere localizzata soltanto in un certo segmento dell’intestino (spesso il colon), un intervento di resezione può regalare a questi pazienti un periodo di tregua dalla malattia. Purtroppo, però, si tratta di una pace momentanea: in genere si assiste a una progressiva migrazione della patologia nei tratti del canale alimentare che fino a quel momento sembravano esserne stati risparmiati”. Ai pazienti affetti da forme particolarmente gravi e refrattarie della malattia, infine, può essere proposto il trapianto di intestino, ma si tratta di un'opzione terapeutica molto complessa ed estremamente rischiosa.

“In conclusione – sottolinea il prof. Vincenzo Stanghellini – sono convinto che solo una maggiore conoscenza e cultura della patologia e delle sue cause possa portare a un reale miglioramento delle condizioni cliniche dei pazienti”.

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