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Chiara BersaniDa bambina non lo avrebbe mai immaginato, e all’Università ha studiato tutt’altro (psicologia), eppure oggi Chiara Bersani è attrice e autrice di spettacoli teatrali, anzi, è una ‘performer’ nell’ambito delle arti visive, come lei tiene a sottolineare. Ma Chiara, classe 1984, non è un’artista come le altre, perché è affetta da osteogenesi imperfetta, un termine che indica un gruppo eterogeneo di malattie genetiche (attualmente sono state identificate 5 forme) caratterizzate da un aumento della fragilità scheletrica, una diminuzione della massa ossea e una suscettibilità alle fratture ossee di gravità variabile. La prevalenza è stimata tra 1/10.000 e 1/20.000 e l'età di esordio dipende dalla gravità della malattia.

“Anche se da più giovane non avrei mai pensato di fare la performer - racconta Chiara all'Osservatorio Malattie Rare - in realtà ho sempre avuto un certo interesse per le arti visive, una specie di ‘sensibilità a priori’, e nutrivo una molta curiosità nei confronti di questo mondo. Alla fine devo riconoscere che anche da adolescente le mie scelte miravano sempre al teatro, e mi interessava soprattutto la possibilità di sperimentare diverse forme artistiche, qualcosa che coinvolgesse la scrittura, il corpo, la voce, la letteratura. La svolta è arrivata quando per frequentare l’Università (mi ero iscritta a psicologia) mi sono trasferita in un’altra città: ero da sola e cercavo un modo per occupare il tempo libero. Mi sono iscritta ad un corso di teatro e solo successivamente ho scoperto che questo era un corso professionalizzante. Così sono cominciate ad arrivare le prime proposte, che ho accettato con curiosità. E’ stato allora che ho capito che il teatro avrebbe accompagnato il resto della mia vita, ma non pensavo davvero che potesse diventare la mia professione: non avevo mai visto un disabile lavorare come performer! Ho capito che sarebbe stato il mio lavoro circa 10 anni fa e ci tengo a precisare che con i guadagni che ne derivano mi pago l’affitto: insomma, non sono ricca, ma è a tutti gli effetti il lavoro che mi permette di vivere serenamente”.

“Inizialmente – spiega – la mia formazione è stata quella di attrice, ma poi ho cominciato a fare dei piccoli esperimenti come autrice, con linguaggi diversi, nel tentativo di non identificarmi solo come regista: volevo, e voglio, essere un’artista a 360 gradi. Per questo mi definisco una ‘performer’, perché il mio desiderio è quello di creare spettacoli con la mia presenza fisica, con il linguaggio del corpo e senza la parola: donando, insomma, il mio corpo alla creazione dell’opera. Ciò che mi muove sono alcune domande: domande che mi piacerebbe diventassero collettive, che vorrei non essere l’unica a pormi. I miei lavori sono dunque un tentativo di sentirmi meno sola nei dubbi, nelle incertezze e nelle domande, legate, ad esempio, al corpo, specialmente ad un corpo 'non conforme'. E per corpo non conforme non ne intendo soltanto uno legato alla disabilità, ma mi riferisco a tutti i corpi non accettati, in generale. E il mio corpo viene ascoltato più di altri, quindi mi piace pensare che parli a nome di tutti quelli non ascoltati”.

Un corpo, quello di Chiara, da maneggiare con cura, a causa della sua fragilità ossea. “In realtà, avere una formazione come performer, che richiede molto lavoro sul proprio corpo e soprattutto ascolto, ha fatto sì che io abbia una consapevolezza delle mie possibilità molto alta. Certo, in scena ci sono posizioni che potrebbero sembrare pericolose per il mio fisico, ma io so che non lo sono, e comunque la fragilità per me è un concetto relativo: se conosci bene la tua fragilità, conosci anche i suoi limiti e impari ad usarla. E poi io sono allenata. I pericoli pertanto non sono legati alla scena, ma più ai tempi che la recitazione richiede, che non sono affatto studiati per una persona fragile, anzi, sono faticosamente gestibili anche per chi è perfettamente sano. Sono imposti ritmi e orari che non tengono conto della persona fragile: è inoltre difficile gestire le corse da un paese all’altro quando si è in tournée, io ho bisogno di avere del tempo per riposarmi… quanto è difficile spiegare che io ne ho davvero la necessità! Ma forse è un problema insito nella nostra società in generale, che non tiene conto di un corpo non perfettamente prestante. Se mi vengono richiesti tre spettacoli in uno stesso giorno, ad esempio, io non riesco. Anche perché non bisogna dimenticare che il mio lavoro richiede un livello di attenzione altissima: se sono stanca rischio d’incrinarmi una costola o stirarmi muscolo. Insomma, la mia difficoltà maggiore è trovare un modo di imporre le mie esigenze per lavorare bene… ma senza smettere di lavorare”.

Una vita non facile, insomma, per Chiara, che auspica una maggiore accessibilità, per un disabile, a questa professione. “Una volta in Italia non c’erano artisti disabili, esistevano solo delle realtà specifiche, registi normodotati che lavoravano con alcuni artisti disabili fissi nella loro compagnia. Non esistevano attori disabili freelance, o dei registi disabili che parlavano in prima persona. Ora qualcosa sta cambiando, ma la situazione rimane complessa. Mi piacerebbe che le scuole e le accademie del settore iniziassero a considerare e ad accogliere allievi con corpi non conformi, vorrei che la formazione diventasse realmente accessibile a tutti. Io ho avuto la fortuna di trovare un corso che accoglieva pochissimi allievi e che non ha fatto una piega di fronte al mio corpo ‘diverso’: mi ha dato la stessa formazione che dava agli altri e che io poi traducevo nel mio corpo. Ho avuto anche il privilegio d’incontrare artisti che, pur non avendo lavorato a contatto con la disabilità, mi hanno accettata lo stesso. Molte realtà però mi hanno risposto che non se la sentivano di avermi come allieva e non ho mai tentato la strada delle accademie. Lancio allora una provocazione all’intero sistema: perché non ci sono disabili nelle compagnie?”

Per Chiara si prospetta un periodo intenso. Stanno per partire due nuove produzioni e una di queste è per una compagnia svedese in collaborazione con l’Italia: “Io non sarò in scena ma condurrò per la prima volta una compagnia di danzatori disabili e sono spaventata, perché – confessa – il fatto che io sia disabile non mi rende competente in una compagnia di danzatori in carrozzina”. Lo spettacolo debutterà nel 2020, all’OrienteOccidente Dance Festival di Rovereto.

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