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malattia di Sly, Stefano PortolanoDal bungalow all'azienda per dare una risposta agli 'ultra rari'. Stefano Portolano (Responsabile Europa di Ultragenyx): “ogni volta che le nostre strade si sono intrecciate, una forma di MPS ha avuto la sua terapia: anche la rarissima MPS VII, 100 persone in tutto il mondo”

In estate è arrivata la notizia che una delle forme più rare di mucopolisaccaridosi, la MPS VII o malattia di Sly, ha finalmente un farmaco approvato a livello europeo: una terapia enzimatica sostitutiva (ERT) indicata per il trattamento delle manifestazioni non neurologiche della malattia, in grado di arrestare e, per alcuni dei sintomi della malattia, persino ridurre, il danno che questa grave condizione provoca a diversi organi. Questo risultato è il frutto di un impegno in ricerca che dura da 25 anni e che origina da un nome, quello del professor Emil Kakkis, che oggi è Presidente e Amministratore Delegato di Ultragenyx ma che, all’inizio di questa storia, negli anni ’90, era ‘soltanto’ un medico genetista californiano, animato dalla volontà di studiare le mucopolisaccaridosi alla ricerca di una possibile terapia.

A quei tempi, nessuna forma di MPS aveva un trattamento, e chi ne era affetto andava inevitabilmente incontro a gravi e progressivi danni d’organo, nonché a morte precoce. Oggi, almeno per alcuni tipi di malattia (MPS I, MPS II, MPS IVA, MPS VI e ora MPS VII), non è più così, e molto lo si deve proprio al prof. Kakkis. A raccontare ad Osservatorio Malattie Rare la storia che ha portato all’approvazione di quest'ultimo farmaco per la MPS VII è Stefano Portolano, Regional Head di Ultragenyx Europe, la cui storia si è più volte intrecciata con quella di Kakkis e con le mucopolisaccaridosi.

Emil Kakkis cominciò la sua ricerca sulle MPS praticamente da solo, in un piccolo bungalow”, racconta Portolano. “Era il classico ricercatore di base, che al momento non pensava a uno sviluppo clinico. A cambiare le cose fu l’incontro con una famiglia che aveva un figlio affetto da MPS I, evento che costrinse Kakkis ad intraprendere la complessa strada dello sviluppo clinico, quella che portò all’approvazione del primo farmaco per la malattia, Aldurazyme® (laronidasi). E’ qui che la mia strada si incrociò per la prima volta con quella di Emil, perché, ormai 15 anni fa, ero parte del team Genzyme, l’azienda che commercializzava il medicinale, con l'incarico di portare il prodotto ai pazienti di tutta Europa. Poco dopo questo traguardo ne arrivò un altro, Naglazyme® (galsulfasi), il farmaco per la MPS VI. La missione di Emil era diventata chiara, portare una terapia per ciascuna forma della malattia”.

Oggi, a questi successi si aggiunge il farmaco Mepsevii® (vestronidasi alfa), la nuova terapia per la MPS VII che Kakkis ha sviluppato fondando Ultragenyx, interamente focalizzata sulle malattie rare. “La società - racconta Portolano - è nata nel 2010, partendo da un paio di molecole in sviluppo e con il chiaro obiettivo di occuparsi delle malattie 'orfane tra le orfane’, cioè quelle rare e rarissime, per le quali non c’era nessuna terapia e pochissima ricerca, proprio come la MPS VII, che conta oggi, in tutto il mondo, circa 100 pazienti, nessuno dei quali in Italia. Al momento non siamo in grado di dire se nel nostro Paese ci sia qualche caso non diagnosticato, o se l’Italia sia meno colpita dalla malattia. Sappiamo che in passato sono state fatte diagnosi di questa malattia, ma quei pazienti sono deceduti. Quel che sappiamo di certo, invece, è che la diagnosi è ancora tardiva e, ora che c’è una terapia, dobbiamo necessariamente intervenire su questo aspetto: ci fosse anche un solo paziente, è necessario individuarlo il prima possibile e dargli una prospettiva di vita completamente diversa da quella che la storia naturale della malattia gli riserverebbe. Il nuovo farmaco, infatti, non solo è in grado di bloccare il danno d’organo, ma anche di far regredire la compromissione di alcuni organi, nel caso si sia già verificata. Quello che questa terapia non può fare, al pari di altre terapie enzimatiche sostitutive, è oltrepassare la barriera emato-encefalica e agire sul danno neurologico. Per evitare danni irreversibili, l’unica chance che abbiamo è cominciare la terapia prima si verifichino: la tempestività è fondamentale”.
 
Diagnosticare malattie rare non è mai semplice, soprattutto se queste si manifestano con danni multi-organo, che posso portare i medici ‘fuori strada’. Tuttavia, per la diagnosi di MPS VII  potrebbe venire in aiuto un campanello d’allarme che si verifica già durante la gravidanza: l’idrope fetale, che in vari studi ha mostrato di essere spesso correlata alla malattia (clicca qui per approfondire l'argomento). “L’idrope fetale - chiarisce Portolano - può essere di origine autoimmune o meno. In questo secondo caso, bisognerebbe subito prendere in considerazione l’ipotesi che il feto sia affetto da MPS VII: la malattia di Sly, infatti, è l’unica forma di mucopolisaccaridosi che può dar luogo ad idrope fetale, condizione gravissima e pericolosa. Sarebbe quindi importante che la MPS VII fosse inserita tra quelle per le quali si fa la diagnosi differenziale”. Tuttavia, non in tutte le gravidanze che coinvolgono bimbi con MPS VII si sviluppa idrope fetale: alcuni di loro, perciò, potrebbero sfuggire a una diagnosi precoce. Per questo motivo, in futuro, si potrebbe valutare di effettuare lo screening neonatale anche per questa grave forma di MPS. Sebbene il bassissimo numero di pazienti possa rappresentare un ostacolo, per ora, negli Stati Uniti, ci si sta concentrando nello sviluppo di un kit diagnostico che sia utilizzabile con le macchine normalmente usate per il test di screening metabolico.

“L’approvazione europea di vestronidasi alfa è per noi una grande soddisfazione”, spiega Portolano. “Ora stiamo lavorando per garantire un rapido accesso al farmaco in tutti i Paesi dell'UE. A tale scopo, in Italia avevamo avviato un ragionamento con il prof. Melazzini, ai tempi della sua direzione di AIFA, e ora aspettiamo di riprendere il discorso con il nuovo Direttore Generale. La nostra situazione, infatti, è davvero particolare, visto che in Italia al momento non è stato diagnosticato alcun paziente e non sappiamo se ne saranno diagnosticati in futuro. In ogni caso, Ultragenyx non si ferma alla MPS VII: la nostra missione sono le malattie rare e rarissime e stiamo portando avanti programmi di sviluppo di varie altre terapie, tecnologicamente anche molto diverse tra loro”.

Attualmente, tra i progetti di Ultragenyx c'è un “substrate replacement”, il triheptanoin (UX007), di cui l'azienda ha acquisito i diritti globali di sviluppo e commercializzazione: oggi è in fase avanzata di studio per un gruppo di rari disturbi metabolici, i difetti di ossidazione degli acidi grassi a catena lunga (LC-FAOD), e per la sindrome da deficit di GLUT1 (GLUT1-DS), nota anche come malattia di De Vivo, patologia su cui è in corso un trial di Fase III attivo anche in Italia. Inoltre, lo scorso anno, Ultragenyx ha acquisito Dimension Therapeutics, un'azienda che, tra le altre cose, stava sviluppando una terapia genica per il deficit di ornitina transcarbamilasi (OTCD), un'altra malattia metabolica potenzialmente letale e comunque gravissima. Inoltre, Ultragenyx ha collaborato con Kyowa Hakko Kirin allo sviluppo di burosumab (Crysvita®), un anticorpo monoclonale recentemente approvato anche in Europa per l'ipofosfatemia legata all'X (XLH), una rara forma di rachitismo ereditario (burosumab è commercializzato in Europa da Kyowa Kirin International).

“La nostra mission non è sviluppare una piattaforma tecnologica specifica e applicarla a diverse malattie”, conclude Portolano chiarendo la filosofia di Ultragenyx. “Facciamo il ragionamento opposto: partiamo da una malattia rara o rarissima che non ha cura e cerchiamo una terapia che possa essere efficace, scegliendo la tecnologia e il meccanismo d'azione che abbia le maggiori possibilità di successo. Questo ci costringe a lavorare su tanti, diversi fronti, ma è una scelta di cui siamo orgogliosi e che sta dando i suoi risultati”.

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