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ROMA – L’ipercolesterolemia familiare è una malattia autosomica co-dominante che aumenta marcatamente la concentrazione delle lipoproteine a bassa densità (colesterolo LDL) nel plasma, provocando malattia aterosclerotica e coronarica prematura. La malattia è stata di recente oggetto di intensa attenzione e, anche se vi è un consenso generale nelle recenti linee guida internazionali per quanto riguarda la diagnosi e il trattamento, c'è un dibattito sul valore degli studi genetici.

Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Clinical Science, ha coinvolto quattro ricercatori: due australiani, un canadese e un’italiana, la Prof.ssa Claudia Stefanutti, Responsabile dell’Unità di Tecniche Terapeutiche Extracorporee del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università “Sapienza” di Roma.

I test genetici possono essere convenienti, come parte dello screening a cascata nei centri dedicati, ma l’intero spettro di mutazioni responsabili dell’ipercolesterolemia familiare non è stata stabilita in molte popolazioni, e il suo utilizzo nelle cure primarie non è attualmente logisticamente fattibile. Sia che si utilizzino i test genetici o meno, lo screening del colesterolo nei familiari dei pazienti indice con un colesterolo LDL anormalmente elevato deve essere utilizzato per determinare la necessità di un trattamento precoce per prevenire lo sviluppo di malattia coronarica.

I difetti metabolici dell’ipercolesterolemia familiare si estendono al di là del colesterolo LDL, e possono influenzare le lipoproteine ricche di trigliceridi e ad alta densità, la lipoproteina (a) e lo stress ossidativo. Il conseguimento degli obiettivi raccomandati per il colesterolo LDL-C con i trattamenti attuali è difficile, ma questo può essere risolto con le nuove terapie farmacologiche. L’aferesi delle lipoproteine rimane un trattamento efficace per l’ipercolesterolemia familiare grave e, anche se costoso, costa meno dei due farmaci orfani di recente introduzione (lomitapide e mipomersen) per l’ipercolesterolemia familiare omozigote.

I recenti progressi nella comprensione della biologia della proproteina convertasi subtilisina/kexina di tipo 9 (PCSK9) hanno ulteriormente chiarito la regolazione del metabolismo delle lipoproteine e hanno portato a nuovi farmaci per il trattamento efficace dell’ipercolesterolemia, sia in quella familiare che nelle patologie correlate, nonché per il trattamento di molti pazienti con intolleranza alle statine. I meccanismi d’azione degli inibitori PCSK9 sul metabolismo delle lipoproteine e sull’aterosclerosi, nonché il loro impatto sugli esiti cardiovascolari e sul rapporto fra costo ed efficacia, devono ancora essere stabiliti.

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