Il prof. Valerio Nobili (Bambino Gesù): “Da due anni è disponibile un'efficace terapia di sostituzione enzimatica, perciò occorre uno sforzo ulteriore per la conoscenza della malattia fra i medici”.
In alcune regioni italiane, nei prossimi mesi, partirà un progetto di screening con il test 'dried blood spot'
ROMA – Fino a soli due anni fa, l'unica speranza per i pazienti affetti da deficit di lipasi acida lisosomiale (LAL-D) era il trapianto di fegato. Oggi invece, grazie alla terapia di sostituzione enzimatica a base di sebelipasi alfa, approvata dalla Commissione Europea nell'agosto del 2015, c'è la possibilità di un miglioramento. A parlarci di questa malattia rarissima è il prof. Valerio Nobili, responsabile dell'Unità Operativa Complessa di Malattie Epatometaboliche dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma.
“Si tratta di una patologia subdola, caratterizzata da un coinvolgimento epatico nell'86% dei pazienti, che manifestano spesso anche problemi intestinali, renali e cardiaci. La sua frequenza è ancora sconosciuta, ma sicuramente si parla di meno di un caso su 300mila: appartiene perciò al gruppo delle malattie ultra rare”, spiega Nobili.
“Se il deficit di lipasi acida lisosomiale è totale, si ha la malattia di Wolman, una condizione non compatibile con la sopravvivenza, che porta al decesso entro il primo anno di vita per insufficienza epatica. La LAL-D è invece una forma a progressione lenta, con un'attività residua dell'enzima, che consente la sopravvivenza, seppur con una qualità di vita molto ridotta”, continua il pediatra epatologo, che ha appena partecipato come relatore a un meeting che si è svolto a Lisbona il 23 e 24 giugno (scarica qui il programma).
L'evento, organizzato dal prof. Maurizio Scarpa, coordinatore della MetabERN, la Rete Europea di Riferimento dedicata alle malattie metaboliche ereditarie, aveva come target quello di aumentare la consapevolezza della malattia, poco conosciuta e sottodiagnosticata. Anche in questa occasione, gli esperti, provenienti da Europa, Stati Uniti e Russia, hanno sottolineato la sicurezza della terapia enzimatica sostitutiva nei pochi bambini e adulti trattati finora. Un trattamento a lungo termine: da effettuare 1-2 volte la settimana per decenni, se non a vita, per via sottocutanea.
“Quando la terapia con sebelipasi alfa si è resa disponibile in Italia, abbiamo richiamato tutti i nostri 'vecchi' pazienti, alcuni ormai con il fegato cirrotico, e abbiamo constatato che in alcuni casi può far regredire i danni già presenti nell'organo. Ora che c'è una terapia efficace, non può mancare la diagnosi: bisogna sensibilizzare epatologi, lipidologi, cardiologi e pediatri. Negli Stati Uniti, secondo un recente sondaggio, il 76% dei medici ignora la LAL-D, che, come accennavo prima, è subdola proprio perché il paziente non si accorge della sua presenza fino a quando non si arriva a uno stato avanzato di compromissione d'organo”, prosegue il prof. Nobili.
Alcuni segnali in realtà ci sono, ma ad accorgersene può essere solo il medico, che nelle analisi del sangue può notare un aumento delle transaminasi o un'alterazione nei valori dei trigliceridi o del colesterolo LDL. “Particolarmente indicativo è il colesterolo HDL più basso rispetto ai valori di riferimento: un dato di cui bisognerebbe tenere conto quando, ad esempio, si esaminano i risultati dello screening per sospetta ipercolesterolemia familiare. Anche l'ecografia del fegato può dare un segnale, con l'organo che appare 'iperecogeno' (ovvero 'riflettente') per le conseguenze di accumulo dei lipidi”.
La diagnosi si basa sul test 'dried blood spot' (il prelievo e l’analisi di una goccia di sangue essiccata su carta da filtro): con questo metodo, molto semplice e diffuso, partirà nei prossimi mesi, in alcune regioni italiane, un progetto di screening per intercettare la malattia nei primi mesi di vita del bambino.