Dott. Pietro Quaglino (Torino): “Per il trattamento occorre puntare l’attenzione sulle singole entità nosologiche”
All’interno di un qualsiasi manuale di diagnostica e terapia medica, se il numero di pagine fosse un indicatore della rilevanza dell’argomento, il capitolo dedicato ai linfomi occuperebbe certamente i primi posti della classifica, perché questo gruppo di tumori raccoglie forme tra loro diverse, che richiedono combinazioni terapeutiche altrettanto differenti. In questo gruppo di patologie rientra anche il linfoma cutaneo a cellule T, a sua volta contraddistinto da varianti piuttosto eterogenee sotto il profilo chimico-patologico: le principali sono denominate micosi fungoide e sindrome di Sezary.
“Non ci si può limitare a parlare di trattamento del linfoma cutaneo a cellule T”, spiega il dott. Pietro Quaglino, specialista in Dermatologia presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino. “Occorre puntare l’attenzione sulle singole entità nosologiche che rientrano in questo insieme”. Infatti, la micosi fungoide, che rappresenta il 40% di tutti i linfomi cutanei e che, per la sua incidenza, è considerata la forma più importante del gruppo, richiede un approccio terapeutico molto diverso da quello usato per la sindrome di Sezary, meno diffusa ma più pericolosa.
“La micosi fungoide esordisce con lesioni eritematose squamose, dai bordi rotondeggianti policiclici [che tendono a erodersi, N.d.R.], non pruriginose e localizzate nelle aree dei glutei e delle cosce e nella regione lombo-sacrale”, precisa Quaglino. “Nelle fasi iniziali, quando le chiazze e le placche sono presenti in numero modesto, il trattamento di prima scelta è costituito da steroidi topici, fototerapia o radioterapia. Parliamo in questo caso delle cosiddette terapie “skin directed”, cioè quelle che si applicano direttamente sulla cute. Quando, invece, la malattia ha un’estensione notevole, oppure si presenta in forma refrattaria o recidivante, si utilizza una terapia sistemica composta da interferone o retinoidi. In questo caso si tratta di agenti immunomodulanti o di farmaci che agiscono sul metabolismo della cute, ma non ancora di chemioterapici”.
La micosi fungoide è una patologia considerata a basso grado di malignità, che può continuare a presentarsi per anni con regressioni o lesioni recidivanti. Tuttavia, nelle fasi più tardive, può interessare i linfonodi o altri organi interni, richiedendo un trattamento più intenso. “Nelle fasi avanzate di malattia, quando ci sono lesioni nodulari, tumorali o coinvolgimento extra-cutaneo, le linee guida suggeriscono terapie più aggressive che vanno dalla radioterapia alla chemioterapia con un solo farmaco o con combinazioni di farmaci fino al trapianto di midollo”, aggiunge l’esperto piemontese. “In prima linea si usa una mono-chemioterapia a base di gemcitabina o doxorubicina liposomiale però, soprattutto per la mucosi fungoide con interessamento viscerale, di fronte al fallimento della mono-chemioterapia l’indicazione è ancora per la CHOP [una terapia combinatoria composta da ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina e prednisone, N.d.R.] o altri protocolli simili”.
Il trattamento della micosi fungoide include dunque un ampio ventaglio di scelte, che spazia da prodotti topici o addirittura dall’approccio “wait-and-see” (una sorta di sorveglianza attiva a cui si ricorre quando le lesioni sono poche e non incidono fortemente sulla qualità di vita del paziente), fino al trapianto di midollo.
Diverso, è invece, il caso della sindrome di Sezary, che si presenta come un linfoma che, fin dall’inizio, mostra un interessamento extra-cutaneo con una consistente quota di cellule tumorali presenti nel circolo sanguigno. “In questo caso il trattamento non sarà mai solo cutaneo”, spiega Quaglino. “Le indicazioni per la terapia di prima linea si rivolgono alla foto-chemioterapia extracorporea, che è una specie di terapia che consiste in un prelievo di globuli bianchi tramite leucaferesi [la rimozione di leucociti dal sangue, N.d.R.]. Questi vengono esposti all’azione di agenti fotosensibilizzanti e, infine, reinfusi nel circolo sanguigno del paziente. In associazione, si possono eventualmente usare farmaci della classe dei retinoidi come il bexarotene o l’interferone. Per la sindrome di Sezary i risultati della chemioterapia non sono sempre favorevoli perché le risposte sono di breve durata e il decorso è costellato di infezioni che subentrano a causa dell’immunodepressione del paziente perciò essa va usata con molta attenzione e solo quando la quota leucemica è importante”.
Negli ultimi anni sono stati realizzati studi clinici specifici sul linfoma cutaneo a cellule T che hanno messo in evidenza la netta efficacia di due nuovi farmaci rispetto alla terapia standard. “Si tratta, rispettivamente - afferma Quaglino - del brentuximab vedotin, un anticorpo monoclonale anti-CD30 impiegabile contro i linfomi CD30 positivi, e di mogamulizumab, un anticorpo monoclonale anti-CCR4 che ha prodotto una percentuale di risposte significativamente più alta rispetto alla terapia standard soprattutto nel sangue (68% di risposte positive) risultando maggiormente indicato nei pazienti con sindrome di Sezary con coinvolgimento ematico”,
Nel linfoma cutaneo a cellule T, per poter applicare il corretto approccio terapeutico al paziente è di fondamentale importanza una diagnosi dermatologica precoce. “La diagnosi differenziale è difficile, come testimoniano anche i risultati emersi da recenti studi internazionali, nei quali si riporta che il tempo che intercorre tra la comparsa delle lesioni e la diagnosi ammonta mediamente a 36 mesi”, conclude Quaglino. “Pertanto, occorre condividere con i dermatologi gli aspetti diagnostici principali della micosi fungoide e, in caso di sospetto, procedere con l’esecuzione di un esame istologico. È fondamentale cancellare il ritardo diagnostico e avviare presto il paziente sulla strada della terapia”.